tramonto

martedì 21 dicembre 2010

MOMENTI MAGICI


Le guide di solito riportano il periodo in cui è consigliabile andare in un determinato posto, basandosi generalmente sulla sicurezza dell'escursionista. Frequentando spesso la montagna e visitando molti posti, in differenti periodi dell'anno o con condizioni metereologiche diverse, ho capito che ogni luogo ha un proprio momento magico. I dintorni del Dal Piaz, ad esempio, danno il meglio di loro in luglio nel momento che le fioriture esplodono, o in pieno inverno quando il blu intenso ed il bianco candore delle nevi si uniscono tra di loro. Ma l'anima qui è il vento. Quello che spira nelle terse giornate di tardo autunno, quando le nevi indugiano ad arrivare ed i prati sono bruni. Raffiche svelte, gelide di tramontana che ti lasciano senza fiato,che lasciano un tempo sospeso, immobile fino alle successive improvvise. Oppure quelle che d'inverno nelle bufere creano sculture artistiche , o sollevano dispettosi "spiritelli" che impreziosiscono di brillanti l'aria.

sabato 18 dicembre 2010

VAL DI SAN MARTINO-VAL CANZOI ANDATA E RITORNO 2^ PARTE


Presa la strada per Fraina mi concedo dopo tanto cammino, una pastina ed un succo di frutta. In cielo intanto il blu del sereno ha il sopravvento sulle nuvole che si sbizzarriscono in giochi di movimento sui contrafforti rocciosi. Ne escono così fantasmi sotto forma di guglie, pinnacoli, strani "mostri" di pietra che appaino e scompaiono seguendo le bizze del vento in quota. M'infilo così lungo la stretta e lunga valle detta appunto Vallunga. Dapprima su strada sterrata in fitto bosco, che sale parallela ad un piccolo rivo, da cui proviene un garrulo suono d'acqua. Alla fine del tratturo c'è un ponticello in legno che supera il corso. Mi tolgo la sete approffittando del fresco liquido che sgorga tra le pietre. Un profondo respiro ed inizio l'improba salita lungo il sentiero poco frequentato. Tutt'attorno aleggia una sensazione si silenzio, di tempo fermo, di ambiente selvaggio. L'uomo sembra essere stato respinto in questi luoghi. Eppure ciò ti fa sentire sereno, un tutt'uno con il posto, alla pari con esso, dove uomo e natura si completano. La vegetazione è fittissima. Alla vista si susseguono pendii erbosi ripidissimi, che si intersecano a canali rocciosi impervi, i crinali in alto remoti, irraggingibili. Il sentiero non dà pause. Sembra che mai mano d'uomo abbia lavorato qui, ed invece quando non ti aspetti scopri le aie di carbonai, qualche resto di sassi posizionati per rendere migliore l'avanzare su sentiero e poi anche due casere. Costruite sembra più da mistici eremiti che per un'economia di sussistenza. Eppure immersi in questa wilderness si respira un'atmosfera struggente. La fatica accumulata si fa sentire, il passo si fa lento. La forcella in alto sembra vicina, ma man mano che il tempo passa sembra una diga insuperabile. Un grido di falco squarcia il silenzio, si fa ripetitivo, pare gridare a tutti della presenza di un intruso. In alto gli fa eco un camoscio fischiando. La zona d'ombra e la leggera brezza che s'incanala verso la valle mi gela il sudore. Ho un po' di crampi, ma ormai sto per scavalcare il passo, dove siedono alcuni escursionisti a godersi il panorama. Scendo un po' prima di fare una pausa "tecnica" per riprendere fiato. I declivi mostrano toni bruno rossi che invogliano a fermarsi, rimandano a tempi andati. Giù lo sguardo scorre alla valle feltrina ed ai giochi di sole ed ombra dei costoni rocciosi. Riprendo un po' la corsa fino alla vicina chiesetta di San Mauro e da qui lungo il sentiero desueto che porta a Lasen. Il paese sembra riposare adagiato al monte, poca gente ciarla al centro, m'avvio fra le case lungo la via che porta in valle fra prati e boschi. Ritorno al luogo di partenza, la festa se n'è andata, stanno sbaraccando, San Martino gli ha regalato un po' d'estate.

giovedì 16 dicembre 2010

VAL DI SAN MARTINO-VAL CANZOI ANDATA E RITORNO 1^ PARTE


In questa domenica di novembre, seppur smorta, ma diversa dalle precedenti che hanno portato con le intense piogge ad annegare mezzo Veneto, colgo forse l'ultima occasione per "confezionare" un lungo trekking prima del sopraggingere delle nevicate. Mi va un po' di strafare. L'escursione l'affronterò in stile trail unendo alla camminata, la corsa ed il nordik walking. Arrivo alla chiesetta rurale in Val di Vignui che il giorno ormai è fatto. Nel prato vicinale è imbandita una struttura per la festa del patrono. Gli organizzatori sfidano gli umori del tempo evidentemente confidando nelle frequentazioni del santo. M'inoltro lungo la strada sterrata nel grigiore d'attorno, dove gli unici che riescono a dettare una diversa tonalità sono i larici con le loro tinte tardo autunnali giallo...rosse. Un po' correndo, un po' camminando arrivo alla fornace da calce a Baslaval, dove alzando lo sguardo, vedo che le nubi immobili hanno tracciato una linea e non lasciano guardare oltre. Proseguo su sentiero, spingendo i bastoncini, nella faggeta che s'è fatta spoglia, abbandonate le folte chiome. Solo qualche ramo ostenta rade foglie , mentre al "pianterreno" un seducente tappeto rosso ricopre i pendii. Dapprima con baldanzoso passo, poi con più realistica leziosità risalgo il ripido sentiero fino a raggiungere la casera di Ramezza Alta dove macchie di neve danno un tocco di candore ai bruni pascoli. Una breve pausa per scorrere con lo sguardo le pareti del San Mauro che emergono dalle nuvole e riprendo a salire verso l'ampia sella della Forcella Scarnia, passaggio che mette in comunicazione tra loro le valli di Canzoi con quella di san Martino, anticamente nomata Val Garza. Ci arrivo in breve timbrando la coltre casta con disegni delle tomaie ai piedi. Fischi di camosci mi indicano la via. Di là ad oriente le alte bancate di Cimia e del Tre Pietre mi rimandano a spazi da epopea western, a lontani posti da Rockey Mountains. Davanti oltre la valle il sole va ad illuminare uno spicchio di monte che fosse in cartolina rimanderebbe, con le rocce a strapiombo, alle scogliere si Acapulco. Parto e scendo nella neve, ora anche gelata, di corsa. Dapprima zigzagando all'aperto poco discosto dalle superbe pareti del Col dei Gai e di Saladen, poi dentro al bosco. Con una piccola disgressione all' itinerario vado a dare uno sguardo a malga Scarnia ancora in buone condizioni. Quindi mi lascio trasportare dalla corsa nella faggeta magica di Zoccarè Alto, per poi scendere, lasciato il Cold'Istiaga, in Val di Canzoi. Intanto il sole s'è fatto largo tra le nuvole illuminado ampi spazi. Mio malgrado mi trovo a percorrere tratti sempre in ombra, tanto che finisco per inveire contro tanta malasorte. Dalla centralina dell'Enel dalla quale un po' correndo, ma più blandamente camminando sulla strada asfaltata, rimirando le acque oggi così petrarchescamente chiare e fresche, arrivo nei pressi dell' agriturismo dell'Orsera da dove prendo la strada per Fraina.

sabato 16 ottobre 2010

CAURIOL


Alpino De Bastiani Francesco, classe 1894, appartenente al 7° reggimento alpini, 66° battaglione "Feltre", uno fra i tanti che vissero in prima persona l' "epopea" del Cauriol, durante la prima guerra mondiale. Fra i suoi ricordi, quello che più lascia sconvolti, fu l' attacco per la conquista della vetta, di oltre cento uomini, si salvarono soltanto una decina. Più che dalle pallottole, furono uccisi dalle scariche di massi gettate dagli austriaci che stavano in alto. Data la natura del terreno per chi saliva non c'era scampo. Si salvarono solo coloro che ebbero la prontezza di rifugiarsi soto le rocce ed attendere la notte per ritirarsi. Piccoli episodi di una guerra assurda di combattimenti di posizione che spazzò una generazione di giovani . Battaglie che ad un prezzo enorme di vite umane servivano per conquistare inutilmente una vetta per riperderla l'indomani. Con questo ed altri ricordi del nonno di mia moglie mi appresto alla salita. I metereologi avevano previsto un repentino calo delle temperature in questo inizio di settembre. Difatti al rifugio Refavaie spira un freddo vento gelido. Risalgo lungo la strada forestale a fianco all'alveo di un torrente imbrigliato che defluisce prepotentemente a valle, più in alto si addolcirà in mille rivoli ognuno rivelando una propria melodia, un proprio carattere. Il cielo è limpido, oltre il bosco di alti abeti, fanno bella mostra di sè i coni delle cime che formano il complesso della Cima d'Asta. A malga Laghetti seguo le indicazioni verso il Cauriol. Mi inerpico su un sentiero ripido, duro (in fondo...siamo alpini) che si ostina a indurre alla fatica. Di tanto in tanto si colgono tracce di ruderi come della chiesetta, del comando del battaglione, della stessa mulattiera che soffocano nell'oblioe nell'incuria del tempo. Poi d'improvviso, terminato il bosco, mi trovo sotto il ripidissimo pendio che volge a mezzogiorno. Risalgo faticosamente, votato anch'io come gli alpini al sacrificio e mi immedesimo in loro in questo ambiente per capre. Tra frane, rade tracce di passaggio, resti di camminamenti, di trincee, di baraccamenti, proseguo inarrestabile verso la cima, in uno scenario paesaggistico da mozzafiato. Ampi spazi, cieli azzurri, verdi vallate, silenzi accompagnano ogni passo. In vetta un'orchestra di cime sembrano posare per la mia vista. Qualche traccia di ghiaccio ancora persiste della fredda notte, il vento si mitiga nel caldo sole, le pietre sembrano parlare. Gente che sosta che arriva che scende, si lascia incantare dal luogo. Dopo una sosta che mi permette di mettere a fuoco racconti di un tempo scendo lungo la via italiana superando il Piccolo cauriol ed il passo Sadole, dapprima corricchiando poi di corsa rientro a valle, mentre le nubi lentamente s'impadroniscono del cielo, preludio del maltempo incombente che nella nottata successiva porterà le prime nevi settembrine.

VAL CASOLE

Il percorso come questo che si infila risalendo la nascosta Val Casole, immissaria della Val canzoi, ad oriente oltre il lago, ormai dimenticato avendo da tempo perso la sua funzione, sta lentamente scomparendo. L'itinerario portava ad una malga, dove le fatiche dell'uomo avevano sottratto alla ruvidezza del luogo uno spazio per le proprie esigenze di sussistenza. In una vecchia guida c'è anche la descrizione di questo tracciato. La mancanza della fruibilità e l' abbandonata manutenzione fa si che piccole variazioni dovute a danneggiamenti provocati da calamità naturali, a smottamenti (anche di piccola entità), ad un taglio della vegetazione importante e la non più controllata ricrescita, oppure la stessa infiltrazione del bosco in un pendio erboso può occultarne il sentiero.Anche se nelle descrizioni ci possono essere dei riferimenti precisi, questi diventano dettagli talvolta inutili. Rimane all'escursionista la capacità di saper leggere il territorio, capire come potevano muoversi nel tempo gli uomini. Capire le tracce, l'andamento del terreno, l'esposizione della luce ed altre mille particolari, può essere d'aiuto a raggiungere la meta. Così in questo mio viaggio ho dovuto far tesoro di queste "percezioni". Vedere poi nella fitta vegetazione svelarsi i resti delle attività di un tempo copme gli spazi per le carbonaie, muretti che servivano a stabilizzare il percorso, i luoghi di approvigiamento di acqua, il pendio un tempo erboso pascolo degli armenti, ora relitto fra boschi d'alto fusto, e le stesse rovine della casera, ti fanno sentire parte del territorio. Qui vicino al manufatto scende un canalone dal gruppo delle Tre Pietre in un ambientesevero, rude, in alto un coro di guglie di pareti rocciose possenti che incutono rispetto, ma che ne amplificano i silenzi, che liberano all'animo paure e nel medesimo tempo benessere di libertà.

giovedì 14 ottobre 2010

A FUTURA MEMORIA


Lungo il sentiero che porta al rifugio Dal piaz, ci sono due fontane in cemento che nel tempo venivano usufruite dalle persone di passaggio, da coloro che operavano nelle abitazioni adiacenti o dal bestiame che saliva agli alpeggi. Fa bella mostra di sè la data di costruzione: 1938 seguita dai numeri romani XVI (che sta per 16° anno dell'era fascista) con in alto non ben visibile in bassorilievo l'effige del fascio accompagnato dalla sigla PFN. Il tutto in stato di degrado, abbandonato nell'incuria, con le erbe ed i cespugli che tendono ad occultarle. Nella vasca acqua piovana ristagna accogliendo le foglie che macerano lentamente. In tempi come quelli odierni dediti a festeggiare ogni sorta di "ricorrenza alla memoria" (palii, ricostruzioni di battaglie, rievocazioni di episodi di vita ...andata) chissà cosa riserverà a queste due vasche il 2038, nell'anno del centenario. Forse ritorneranno all'antico splendore, magari per il tempo di una festa. Oppure verranno riprestinate alla loro vecchia funzione perchè i fasti del nostro tempo si saranno sopiti e saremo tornati ai lavori ed alle fatiche di un tempo, o forse l'oblio del tempo le farà diventare tesori nascosti a futura "scoperta archeologica".

mercoledì 15 settembre 2010

LAMPI DI LUCE


Ciò accade quando l'aria è tersa e nel cielo scorrono veloci le nuvole. Negli spazi di blu s'infiltrano i raggi del sole. Nascono così dei giochi di luci ed ombre che esaltano le peculiarità dei particolari che generalmente non si notano. Così si evidenziano le caratteristiche come quando nelle scene teatrali si accendono i fari dei riflettori. Cose insignificanti diventano star per un attimo, il tempo che la luce le esalta. In tal modo rientranze delle rocce, forme di alberi, angolazioni di pendii, creste di cime si magnificano in una loro "personalità".

giovedì 9 settembre 2010

CIMONEGA


Sereno. Su in alto,alle prime luci dell'alba si indovina un blu intenso. Nessuna nuvola si aggira in cielo. Il lago di Val di Canzoi è increspato da una leggera brezza ed i monti che si riflettono sembrano ballare. Intanto le cime si incendiano dei primi raggi di sole. Camminando rincorro il levare del sole che si cela dietro le fronde fitte della vegetazione. Abbandonata la strada che porta al Frassen, risalgo il ripido sentiero che corre a fianco del Caorame che in questa stretta valle scende in un continuo susseguirsi di cascate, di marmitte e di scivoli dall'acqua limpida,azzurra. In un percorso che conosco molto bene, mi fisso dei punti intermedi come mete per accellerare mentalmente la salita. La luce del sole inesorabile scende lungo i pendii mettendo in risalto le peculiarita delle rocce e dei crinali. Di tanto in tanto scruto il cielo, così azzurro sembra un mare rovesciato. Arrivo in casera Cimonega, dove si svela l'apoteosi di questo angolo di dolomiti staccatosi in ere geologiche antichissime dalle pale di San Martino e naufragate sulle scogliere delle Vette. Il chiaro delle rocce si esalta nel blu del cielo. Il Sass de Mura, il Piz de Mez, il Piz di Sagron, il Sasso dell Undici, il Sasso Largo, il Comedon si susseguono nell'anfiteatro come in un galà di stars. Il mio passo regolare, ma lesto mi porta rapidamente su ai rossi bivacchi del Cai (Feltre e W. Bodo). Da lassù lo sguardo scende alla verde conca di cimonega dove sembrano calamitate tutte le bianche strisce dei rivi d'acqua che si radunano prima di gettarsi d'un balzo nella valle. Salutati i pochi avventori m'incammino verso il cuore del luogo risalendo fra rocce montonate, magri e verdissimi declivi, ora risalendo roccette o friabili ghiaioni. Ho voglia di raggiungere le creste in alto, di spaziare con lo sguardo oltre. Seguo lo scarno sentiero che porta all'attacco della via normale al Piz di Sagron. Salgo alla cima del Vomere, la cui parete meridionale scende diritta nel sottostante circo, anzi tutto d'intorno sprofonda come un abisso. A settentrione la vista vola su verso le pale di San Martino, giù verso la valle verde del Mis. Paesi che spuntano qua e là come macchie bianche. Intanto le nuvole cominciano maligne a vagare, poi a stazionare sulle cime, poi a nasconderle. Potrei salire in cima al piz. Ma data l'irregolarità delle nubi opto per un giro alla base fra ghiaioni, piccole piante di fiori pionieri e distese di massi sparsi in un caos che sembra una composizione di arte contemporanea. Qui è il regno dei camosci, sbucano all'impovviso da dietro le creste, poi corrono veloci via verso le cenge. Mi spingo fin dietro il Piz de Mez a guardare le rocciose scarpate che scendono verso la val Giasenozza in una nuda e severa ambientazione. I crolli di rocce a lato del Piz di Sagron evocano scenari da epopee di film western. Da quassù si gode un bel colpo d'occhio verso la conca del pian della Regina , che vado a "ritrovare" scendendo assorto nel silenzio del luogo. Poi una lunga corsa mi riportera giù in valle.

sabato 4 settembre 2010

SASSO SCARNIA (2227 m.)


Parto che la luce del sole ha già inondato i monti. E' una giornata serena. I colori si distinguono netti l'uno con l'altro. M'incammino lungo la strada sterrata che mi porterà in fondo alla valle di Vignui lasciandomi alle spalle l'isolata chiesetta di San Martino, piccolo capolavoro di arte religiosa popolare sorta probabilmente su una antica torre di osservazione dell'antica via romana, quella presunta via Claudia Augusta che univa Altino sull'Adriatico ad Asburgo in Germania. Cammino dopo un periodo di stop duvuto ad un malanno fisico e devo trovarne un ritmo adeguato. Mi piacerebbe salire in cima al Sasso Scarnia, l'ultima cima della lunga cresta delle vette feltrine che volge ad oriente. Da qui sprofonderà di netto in una chiara piramide rocciosa verso la val di Neva. Sarà una lunga sfacchinata di circa milleottocento metri positivi... un azzardo per chi è fermo da un po' di tempo. Su in alto le cime esplodono di luce, i pendii in ombra aspettano impazienti che il sole scenda ad "ubriacarli". Alla calchera prendo il sentiero che nel folto della vegetazione mi porta ripidamente ai pascoli di Ramezza Alta, da tempo abbandonati, ma che conservano il loro fascino bucolico. La fatica che si manifesta durante la salita mi induce a cambiare itinerario: potrei salire alla selvaggia Forcelletta, oppure accontentarmi di Forcella Scarnia e poi perchè no fermarmi qui un po' alla casera a godermi le pareti rupestri del San Mauro o del Ramezza così ricche di varietà di paesaggi, di rocce miste a declivi erbosi, a boschi a guglie a faglie...ed invece complice il bel tempo, una cima mai raggiunta, il non voler arrendermi mi induce a proseguire. Incedo su prati ancora pregni di umori notturni, poi nel sole che s'insinua nelle fronde del bosco, quindi fra le mughete che caratterizzano questa parte di monte. Più in alto rocce frastagliate, lasciano spazio a fantasie , s'indovinano bastioni, rocche torri di fantastici manieri. Picoli stillicidi d'acqua danno un tocco di magia. Risalgo sul sentiero che ora si è collegato a quello dell'alta via 2 che collega il bivacco Boz al dal Piaz, su un curioso tracciato serpentino che segue le rientranze delle rocce. Intanto volgo in alto lo sguardo alla ricerca del luogo più agevole per risalire verso la cima. Volgo il passo su un pendio erboso e cammino diretto, con parecchie pause, fin a lato di roccette finchè fra mughi esco sulla cresta dove mi si parano alla vista ampi panorami verso altri gruppi dolomitici. Cammino sul filo di cresta. Verso il lato a settentrione si spalancano ripidissimi orridi, canaloni che fra creste frastagliate e ghiaioni filano veloci ai sottostanti penddi boscati. Mi sento risucchiato ed istintivamente mi ritraggo. Poi salgo sull'aerea cresta quasi "respirando" il cielo ed in breve mi affaccio alla vetta. Intanto veloci e scomposte nubi e nebbie risalgono da valle, oscurando la vista. Poi come sono arrivate spariscono, ma altre rimontano. Mi trattengo a guardare lontani orizzonti. Ridiscendo lungo la via di salita. Ripreso il sentiero vado alla ricerca di quello che cala alla Giazzera di Ramezza. Qui un tempo salivano i cavatori di ghiaccio ed entravano in un grande antro su cui di accumulava la neve. Tagliavano blocchi di ghiaccio che trasportavano giù con slitte per il profondo canalone fino a valle dove li caricavano su dei carri che andavano a rifornire la birreria di Pedavena. Fatiche immani per guadagnare un tozzo di pane e l'oblio non ha lasciato che un misero segno di passaggio a futura memoria. Ritorno a valle anch'io stanchissimo.

lunedì 19 luglio 2010

TRE PIETRE PIZZOCCO (2^ Parte)


Quando mi fermo sui sassi del Veses per consumare un magro spuntino (una pastina ed un succo) sono circa le nove, quindi ci ho messo poco più di tre ore ed un quarto per salire e scendere il Tre Pietre. Riprendo fiato e riparto avvolto nel verde intenso dei boschi di fondovalle. Risalgo lungo il sentiero alll'interno dell'ombrosa Val Scura, per poi rientrare verso la chiesetta di San Felice. Pur non presentando difficoltà è un tratto lungo, e camminando tra alte erbe mi porta dei " commensali" poco graditi; una decina di zecche!! Fermata al Pradel per sfrattarle con giro d'unghia. D'ora in avanti si fa sul serio, gran respiro, concentrazione...si riparte. Guardo in alto, il fitto bosco mi nasconde l'itinerario. ma lo conosco e so che ci sarà sa sudare. Questo tratto, monotono, che risale il pendio fino ai pressi di casera Ere è tosto, lascia pochi tratti per rifiatare, sale, sale erto, decisamente faticoso. M i fa compagnia il respiro affannoso, un fischio di un camoscio, voci di escursionisti,che il vento porta giù lungo la valle,paion vicine...sono lontane. La stanchezza comincia a farsi sentire, mi stramaledico perchè ho mangiato troppo poco, ho sete. Catturo le forze mentalmente, lo so è il momento di tirar fuori queste di energie. Proseguo oltre casera Ere e riprendo vigore camminando verso il Piz, anche la vista ora si allarga, su in alto mette in mostra il Pizzocco. Il fondovalle inesorabilmente si allontana, scandisco lentamente il passo. Intanto le nebbie iniziano ad avvolgere i pendii. Incontro parecchi escursionisti mentre ridiscendono. Poi più in alto gli spazi si allargano, penddii prativi si sostituiscono alle macchie boschive. Nella fatica mi estraneo da ciò che mi circonda, mi concentro solo sulla salita. Il poco allenamento mi presenta il conto. Ora il percorso nella parte finale è su facili roccette. Mi fermo sovente. Non è da me. mi sento sfinito. Riprendo, risalgo, arranco, ritrovo energia, sudo, sbuffo, maledico i monti, le valli, mi siedo, guardo oltre con lo sguardo vago nel nulla, stringo i denti, scatto d'orgoglio, deciso, riprendo vigore, scavalco le ultime roccette, la croce...sono in cima al Pizzocco. Mi trattengo a chiacchierare con gli ultimi escursionisti che tardano a scendere. Poi rinvigorito scendo giù verso valle, con buona andatura. Nel primo pomeriggio sono a Roncoi, mi volgo indietro, le nuvole tengono prigioniere le cime...anche questa è fatta!

domenica 18 luglio 2010

TRE PIETRE PIZZOCCO (1^ parte)



Le ultime nevi ormai si sono sciolte ed io mi appresto a partire per questo doppio uppen down che va a concatenare di seguito due monti delle Alpi Feltrine, il tre Pietre ed il Pizzocco. Complessivamente il dislivello supererà i 6000 metri. Non proprio una passeggiata. Ma tant'è visto che sono queste le personali sfide in montagna. Lasciata l'auto a Marianne, salgo lungo l'erto nastro d'asfalto che porta alle ultime case, recentemente restaurate lasciando le caratteristiche originarie; nella luce lattiginosa della luna merli si esibiscono in esaltanti melodie, il ruscelletto che scende rumoroso fa da accompagnamento. Un gatto fila via veloce. Poco più in alto, lasciata la valle di Agabito, mi inoltro nella penombra del fitto della vegetazione. Il bosco, di questi tempi, lasciato all'abbandono diventa presenza ingombrante. Salgo cercando di trovare il ritmo giusto, fondamentale in questo tipo di avventura. Con la compagnia dei pensieri che si affacciano nella mente, esco a Prà Montagna. Un piccolo alpeggio di quota intermedia, oggi rovinato inopinabilmente dalla costruzione di una strada forestale. Oltre salendo, cammino sui declivi erbosi che scendono dal Palmar. Il sole che sorge ad oriente va a radere con i raggi il crinale e sbattere contro le rocce nella valle opposta, incendiandole di luce purpurea. L'erba che s'indora esalta le gocce di rugiada in mille luci di diamante. Ritmando il passo supero un piccolo gruppo di escursionisti che ascoltano i richiami sonori, nel silenzio d'intorno, dei forcelli. Continuo ad avanzare fino a giungere ai crinali del Cimone, dove c'è l'apoteosi della luce mattutina. Ampi spazi mi si avvinghiano all vista. Nel fondovalle dense nebbie si mettono in moto risalendo lentamente i canaloni. D'intorno si esaltano i colori primaverili. M'incuneo nel canalone che si fa sempre più erto, cercando la linea di salita più semplice. Proseguo finchè esco in cima al Cimone. Panorami a perdita d'occhio. Scendo il vallone opposto per risalire poi fra mughete roccette creste sino alla aerea cima del Tre Pietre. Sotto i miei piedi si spalanca unvorticoso amplesso di orridi, di baratri frastagliati, di cime aguzze, un'esaltazione dell'estetica dolomitica. La Valle di Canzoi impreziosita dal turchese del lago sembra risucchiata negli abissi. Lontano a settentrione si indovinano le Pale di San Martino, del Civetta , i Lagorai. Mi riposo un po' rapito dall'estetica del luogo; di fronte ad oriente la mia prossima meta oltre la valle profonda, incisa. Le nebbie intanto risalgono verso l'alto incuneandosi nelle vallecole, ora più dense, ora evanescenti. Scendo rapido ed in breve mi trovo presso la croce del Palmar. Poi velocemente calo nel folto della vegetazione fra conifere o intricati boschi cedui, fino ad uscire nel paesello di Campel Alto. Da qui al bianco letto del corso del Veses in Val Scura.

sabato 17 luglio 2010

VAL FOSSERLA


Ci sono delle valli pressochè sconosciute, pochissimo frequentate, che nella loro "riservatezza" offrono dei piccoli scrigni di assoluta bellezza. Val Fosserla è una valle laterale alla più nota Val Canzoi del Parco delle Dolomiti Bellunesi. Passando in auto lo sguardo appena la sfiora, causato anche dalla vegetazione che la cela. E' una valle ruvida, dai versanti scoscesi, rocciosi, accidentati, difficile da percorrere, dove per orientarsi l'istinto è la capacità madre per superare le diverse e mutevoli complessità naturali. Eppure questo luogo che ora è un'esaltazione alla wilderness è stato sfruttata dal lavoro umano. Percorrendo il reticolo di sentieri, che col tempo tendono a scomparire si rilevano numerose tracce. Nellaparte bassa varie casere dove venivano portati piccoli nuclei di bovini, in ristretti pascoli, nati talvolta perchè sottratti al bosco dai carbonai. Il bosco veniva tagliato per produrre il carbone, fonte di economia di sussistenza; facile scoprire nei declivi le aie dove si svolgeva il lavoro. Ed ancora le calchere, fucine all'aperto dove si produceva la calcina, usufruendo di sassi calcarei. Poi in alto dove i pascoli diventavano più difficoltosi da raggiungere ed operare si avventuravano i pastori con ovini e capre. Più su fra le rocce ed i canaloni più impervi si avventuravano i cacciatori alla ricerca di camosci o di altri ungulati. Tutto ciò oggi è solo memoria che scompare. Ma avventurarsi all'interno dà il senso di come bisogna percepire la montagna, scoprirne il genius loci, amarne inevitabilmente le peculiarità. Piccoli siti che per arrivarci ci vuole fatica, capacità di leggere il terreno su cui si avanza, ma che raggiuntili si aprono nella loro straordinaria bellezza. La Costa dei Tei, i Colesei,Piavon, le cime Fiesole sono dei tesori ormai catturati dallo sguardo di mufloni e camosci, oggi i veri proprietari del luogo.

martedì 13 luglio 2010

PIZ DI SAGRON (m. 2485)


Per tutti: vette, quali le Torri del Vajolet, le stesse Tre Cime di Lavaredo od il Civetta, il Cervino (tanto per citarne alcune) ,sono un'espressione di bellezza indiscutibile. Poi ognuno ha la sua montagna del cuore. Per i più disparati motivi. Perchè è stata la prima ascesa, perchè ha una ragione sentimentale, perchè rappresenta un momento particolare della vita... La mia è il Piz di Sagron. Di per sè, anche se bella esteticamente, è una montagna tra le tante, poco conosciuta. A dir il vero non è proprio insignificante in quanto con la sua altezza di 2485 m. è la seconda fra le Alpi Feltrine. Storicamente ha il privilegio di dare l'avvio alla storia alpinistica in questa catena del lembo meridionale delle dolomiti, con la scalata del 16 giugno 1877 da parte di Cesare Tomè con Tommaso Da Col e la "guida" (ma in realtà cacciatore, bracconiere,contrabbandiere) del luogo Mariano Bernardin. Dalle sue pendici nasce il torrente Caorame, immissario poi del fiume Piave. La casa dove sono nato è sopra una forra che il corso d'acqua s'è scavato, ed esso è stato il mio compagno (non umano) per eccellenza della mia infanzia. Facile quindi era volerne cercare le origini. Le scoprirò verso i diciassette anni quando con amici andai a trascorrere la Pasqua al bivacco Feltre-Walter Bodo, lì vicino al monte. Una mattina proposi di salire alla ricerca della sorgente. Avevo gli scarponi ancora pregni d'acqua della salita e calzai un paio di stivali di gomma, quelli verdi che negli anni settanta si portavano spesso per i lavori nei campi, per l'andare nei boschi a funghi...che mi ero portato di riserva. Salii con l'amico Gabriele Vanin ed un certo Tessaro che faceva parte di un'altra compagnia. Calcando la neve ancora alta ci trovammo sotto il possente monolite dalla forma abbastanza squadrata. Non so cosa ci prese. Probabilmente l'incoscienza dell'età, la voglia di sfida, l'esuberanza. Iniziammo a salire il Piz. Da allora sono passati tanti anni, la memoria latita, percorremmo logicamente la via normale, ma c'era la neve sulle cenge e talvolta alta, nelle parti più in ombra c'era ghiaccio e di quello duro, sotto i nostri piedi si aprivano abissi, baratri anche se mitigati di tanto in tanto da nebbie che si muovevano velocemente. Si continuava a salire nemmeno sapendo dove andare. Dentro di me saliva una frenesia, un'energia irrefrenabile. Arrivammo in cima, ce ne rendemmo conto perchè oltre non si poteva andare. Le nubi intanto s'erano accoccolate sulla vetta e "da tutto lo sguardo esclusero". Non ci restò che ridiscendere, io avevo chiuso il cerchio con il mio monte ed il mio torrente, io ero loro e loro erano me. Penso, non a torto, di essere il primo ad aver realizzato una prima invernale di alpinismo con gli stivali di gomma!

LA FRENESIA DELL'ANDARE


Mi è sempre piaciuto camminare e credo di avere una naturale predisposizione nell'affrontare la montagna, sia fisico che istintivo. Se un tempo ciò che inseguivo era raggiungere una cima poi col tempo è stato di percorrere lunghe distanze. La vetta, una forcella, un colle, un passo è fine a se stesso, ma oltre c'è un' altra vetta, un'altra forcella, anzì un'infinità di queste "possibili" mete. Salire una catena montuosa e vederne un'altra, davanti, al di là della valle, ha fatto si di procedere oltre. Di raggiungere la successiva e magari un' altra, poi voltarmi e capire che le distanze sono effimere; ciò che prima era distante è vicino, altro nel mezzo è superato. Questo è diventato il mio modo di peregrinare in montagna, fatica e frenesia; così riesco a sentirmi tutt'uno con l'essenza della montagna. L'aver percorso l'Alta Via "delle Dolomiti in tre giorni per complessive 42 ore od il Trekking delle Leggende, lungo circa 200 km. con dislivello complessivo di circa 30.000m. in 4 giorni, in meno di 56 ore, o l'Alta via deli Eroi da Feltre a cima Grappa in 14 ore per andata e ritorno ne sono un esempio. Oppure nel concatenamento dei sentieri, un uppen down sulle vette feltrine di oltre 7000 m in poco più di 10 ore, o nel salire più monti in sequenza, ho trovato il feeling intimo con la montagna.

domenica 11 luglio 2010

MITI CADUTI...MITI INNALZATI


Cesen, Barbaria, Mariech, Col Posanova, Forconetta, Endimione...così nella mia infanzia mandavo a memoria i nomi di questi monti delle Prealpi come si era soliti fare con la nazionale (Zoff, Burgnich,Facchetti...). Endimione, forse per assonanza agli dei greci lo favoleggiavo quale la divinità del luogo e gli altri l'insieme del suo olimpo. Inoltre da bambino osservavo rapito, dalla finestra di casa, un grande prato adagiato placidamente sul lungo costone orientale del Tomatico (sopra Feltre). Per me equivaleva alle grandi praterie del far west, ad uno spazio infinito. Fantasticavo che ci volessero giornate intere per poter salire lassù (avventure alla Jhon Waine). Poi quindicenne vissi la mia prima esperienza di montagna, salendo ai Piani Eterni nelle Alpi Feltrine. L'arrivo a ridosso di quell'angolo di paradiso mi lasciò l'incanto negli occhi, una sensazione incredibile di bellezza. Da allora molti miti sono caduti. Endimione e decaduto dall'illusione della divinita all'insieme dei declivi erbosi che scendono verso l'alta vallata trevigiana. Sul grande prato (Prà Franzoia) ci salirò molti anni dopo, senza grandi emozioni a piedi in un'oretta, quando a causa dell'abbandono, ormai si era ingloriosamente ridotto ad un ristretto pascolo, relitto...a futura memoria.I Piani Eterni invece si rinnovano incantevoli ad ogni stagione.

sabato 10 luglio 2010

SKY TREKKING



Skytrekking è camminare sul filo delle creste, seguire esili tracce, "librarsi" su esposte cenge,inerpicarsi su ripidi crinali,superare ardite forcelle... E' sognare la linea arancio dell'alba che sorge, sentire il sudore che scende lungo le gote, ascoltare il respiro affannoso nei ripidi sentieri che non ammettono soste, farsi risucchiare nelle rapide discese, allungare il passo nei pianori inaltitudine, essere sopinti dal vento, camminare faticosamente quando le fole ti sbattono contro o gelate ti fanno perdere il respiro. E' affondare nel manto soffice nevoso, sentire il picchettio della pioggia, bagnarsi sotto un acquazzone estivo, lasciarsi trasportare musicalmente al fruscio delle fronde, rincorrere le foglie che cadono, percepire lo scricchiolio di quelle calpestare, il rumore vitreo dei ghiaioni scesi. E' guardare le nuvole che attraversano il cielo...cielo blu intenso, grigio, rosso, giallo, perdersi nelle fitte nebbie che portano ansia, ritrovarsi sulle cime dei monti baciati dalla luce intensa del sole, scrutare panorami infiniti, piccoli diademi celati fra le possenti pareti. Seguire il volo regale di un'aquila, l'inerpicarsi del camosci in ambiti rupestri, il ciguettio frenetico delle cince nel fitto bosco, il gorgoglio di un ruscello, il colore dei fiori. Perdersi nell'oblio quando inesorabile il tramonto scende.

BON VIAZ


Bon viàz nella parlata dolomitica è un segno di augurio che sta per buon viaggio. Il termine viàz indica un passaggio impervio ed ardito in montagna, tracce di passaggio generalmente di camosci e cacciatori. Gli anglosassoni definiscono il muoversi in questi ambienti con il termine di scrimbling, dove escursionismo ed alpinismo si confondono.