tramonto

sabato 23 luglio 2011

PIZZOCCO, ANZI PIZOC!


Giornata strepitosa con un cielo blu ed aria tersa. La luce illumina così intensamente da esaltare le montagne. Ho il Pizzocco di fronte, solitario sembra l'ombelico del mondo. Ufficialmente vi è salito per primo il barone von Zach dell'esercito asburgico alla fine del 1700 per rilievi topografici. Balle!! Chissà quanti saranno saliti prima di lui. Ma si sa verba volant et scripta manent...Dell'ascesa del generale fu messo nero su bianco, di probabili valliggiani le gesta orali si sono perse neglio orripilanti baratri d'intorno portate via dai venti. Ma lo immagino l'asburgico stufo di beghe confinarie e di continue interpellanze di avvocati e di redimere contese; un giorno sul far dell'alba abbia preso un manipolo di militi e qualche scout indigeno, caricati come bestie da soma con strumentazione cartografica e si sia diretto alla cima del monte a delimitare parcelle agrarie una volta per tutte. Decido di salire a metà del dì quando diverse nubi bianche hanno cominciato a tinteggiare la tela blu. S'aggirano lente anch'esse a mappare la cintura montana. Parto dall'area di sosta, su oltre il paese di Roer. Davanti continua diritta una larga carareccia che porta al rifugio Ere, ma è più posto per bagordi enogastronomici e...vinassa vinassa fiaschi de vin... A destra invece, schivo tra il folto della vegetazione, parte il sentiero che si fa subito ripido. Lo aggredisco d'impeto, ho voglia di liberarmi dallo stress del mitico nord est, la regione che si pavoneggia come la locomotiva economica dell'Italia, più simile alla produttività teutonica che alla sgangherata macchina manufatturiera italica. Che in questi anni s'è drogata di yuppismo arrivista fin de siècle andando avanti vorticosamente alla cieca. Qualche furbo e cinico talmente veloce s'è fatto la fuoriserie per poi andare a sbattere contro un platano o cadere con qualche aviogetto imbullonato come un meccano e la massa s'è svenata di fatica per poi far la fila coi danari dentro ad una banca o ad un supermercato...Fanculo operoso nord est! Ti porto io a sferragliare su questi ruvidi sentieri ed a smaltire le panze troppo imbottite di ingordigie. Mentre ascendo verso l'alto tra le fronde del bosco, alzato lo sguardo vedo che il tempo dà di mano col pennello. Colora di grigi le nuvole dai toni grigio piombo, al fumo di londra a tracce di nero seppia. Dopo aver superato lesto l'andirivieni arrivo alla forcella Intrigos, che svela al di là la spaventevole Val Falcina che sembra chiamare a sè abissi e precipizi. A lato poi si erge la poderosa parete del nostro: ottocento metri di piombo da muratore, sbiancata da un recente crollo. Continuo sospinto da una fresca brezza a ridosso della parete rocciosa tra ghiaini ed arditi passaggi. Poi riemergo in alto su pendii verdi infiorati. Giù la valle operosa sembra silente, ferma. Si va verso il Pizzocchetto. La fantasia dei nomi qui è stata piuttosto deludente; oltre a Piz, Pizzocco, Pizzocchetto, Pizoc non si va... In cielo intanto s'è formata una linea di demarcazione che gira l'orizzonte. Sotto ci regala ampi panorami, sopra si arreda di cupi tendaggi. Superato l' "arditezza" di una cengia esposta dietro il monolite, rimane l'ultimo tratto. Ricordo bene l'ultima volta che l'ho fatto, una fatica bestia, da credere la cima un miraggio, ma mi stavo sparando in sequenza questo monte ed il dirimpettaio Tre Pietre. Oggi invece zompo tra le roccette ed i baranci agile similcamoscio. In fondo questa montagna ha il vantaggio di essere salita agevolmente senza uso di canapa, nylon o tintinnante ferraglia messneriana. Arrivo in cima in simultanea con le nebbie che ascendono a raffica dalla profonda Valscura. Mi soffermo, guardo giù. Penso che chi giunge quassù si senta davvero, per qualche decina di minuti, padrone del mondo. Le nebbie si muovono frenetiche trascinate dalle fole. Scendo anche se sento che una parte di me vorrebbe restare lassù ancora. Strano monte il Pizzocco, ha mille volti è un trasformista. Se lo guardi da occidente sembra un arrotondato pacioso colle roccioso , da oriente un dente aguzzo su una rampa di lancio, a settentrione si sdoppia in due torri gemelle. Anche questo è nord est.

lunedì 18 luglio 2011

TOUJOUR LE FORZELON


Lo sapevo che prima o poi ci sarei ricascato, anche se ho spergiurato che non lo avrei mai più fatto in salita. Lo avevo sfidato sotto un solleone agostano nel momento massimo della calura, con il sole che picchiava come un boxeur dopo avermi messo all'angolo, un sole psicopatico. Questo è un sentiero tosto, duro, carogna, presuntuoso, arrogante, va per le spicce, è un padre padrone, nulla ti perdona, di sicuro non ti coccola, se ti fermi si spazientisce, ti considera men che niente. L'unica cosa che puoi fare è domarlo. Dal ponte sul Colmeda, le cui acque scorrono con alto chiacchiericio alzo lo sguardo, sta lassù il despota 1150 metri più in alto, seminascosto dalle nebbie vaganti. E' un'ampia sella che migliaia di anni fa vomitava gli umori dei ghiacciai. La mattinata è umida sa di sapore settembrino. Il silenzio della valle è rotto da poderose martellate e da sfrigolii di lamiere provenienti da una casera nascosta fra la folta vegetazione. Un capriolo, inveisce con voce sgraziata; sarebbe da consigliarli una logopedista. Un greto ghiaioso bianco da l'idea di lavorar più di qualità che di quantità. Le alte erbe, che raccolgono tutte le linfe della notte sono ubriache di guazza. M'imbombo le scarpe e le gambe. Ciclamini deliziano il bosco. Sotto i covoli, dove i nostri avi antelucani si riparavano pascolando gli armenti, gorgoglia un rivolo d'acqua. Più su un bivio, si prende a sinistra, in piano. Saranno gli unici dieci metri di piano! Mi si para davanti un muro invalicabile di nebbie e di oscura selva. Un file recondito apre una finestra e mi avverte laconico che inizia la salita. (Perchè finora cos'era...) Voila le Mùr!! Se chiedi ad un escursionista di accompagarti ti dirà che in estate preferisce andare sulle Dolomiti ed in inverno...che c'è la neve...Il sentiero sale scaltro a zig zag, ringalluzzito da giovanili energie. A mezza via il sole fora le nubi come per un beffardo avvertimento. Fra le radici di un grosso abete nemmeno il viottolo sa dove andare, s'inpenna, si verticalizza. Passo vicino ad un formicaio enorme, un cocuzzolo pieno di frenesia; tutto un via andare di nere formiche. Usciti dalla faggeta, si fa trasversalmente una cengia, anche il sentiero ha bisogno di rifiatare. Ma come arriviamo sul bordo del costone si riprenderà, data la pendenza, a mo di scalinatà. Nella brezza che fa tremolare le foglie e movimentare le nebbie, risalgo l'erto crinale stretto, i pendii traboccanti di variopinte fioriture precipitano ripidissimi. Esco su un belvedere riesco a vedere un mugo arpionato alla roccia, poi intuisco un costone più in basso e poi il nulla. Ci mancano gli scheletrici alberi secchi sgusciare dalle dense foschie, per rendere macabro e angoscioso il proseguio. Il sentiero continua imperterrito per balze, cenge, scalinate su roccia e su erbe viscide. Traversa pendii instabili, poi rifugge su canali franosi fra minacciose pareti. Alla fine ti prende per sfinimento e lo segui arrendevolmente. La fitta bruma ti fa intravedere ombre che non riesci ben a decifrare. Poi quando ormai disperi ti trovi a varcare l'agognata sella. Ed il sole coaudiuvato dal vento Matteo di buzzattiana memoria, scrolla la nuvolaglia e se ne esce strafottente. Me ne ritorno scendendo lungo un fiume di fiori dal color lilla per un altro tragitto, ma questa è un'altra storia, un altro racconto.

sabato 16 luglio 2011

ALTA VIA DEL GRANITO (2^ parte)


Mentre lasciavo le nari farsi accarezzare dalla fragranza del caffè il rifugio si è animato dall' arrivo di un gruppo di alpinisti. Lascio la compagnia dopo una sosta appagante di una ventina di minuti. Scendo verso il corso d'acqua e superato un rustico ponticello mi fermo per un "lauto" pasto...due fette di pan carrè con sottilette. Alla fine sarà l'unica cosa che mangerò durante il tragitto. Si punta risalendo il bosco di conifere alla volta delle Buse Tedesche. Ritrovo subito il giusto ritmo che rapido mi fa guadagnar quota. Giungerò risalito una valle boscata in " terribil loco" che reca un nome che è un programma: i Laghi dell' Inferno. Quella conca dove si mescolano in un amplesso massi, arbusti, acque che sa di averno dantesco il tempo sembra fermo. Le acque dal fondale scuro e pietroso ti attirano come un magnete...meglio ricercar una diritta via! Ascendo verso una sovrastante baita dove incappo in un gruppo che risale stancamente a mo' di serpentone. La combriccola é guidata da Fabrizio Bellucci di Zainoinspallache fa da capobranco. Sono sulle loro tracce dalla partenza. Raggiutili mi lascio andare ad un "dottor bellucci I suppose". Ci fermiamo un po' più in alto dove la salita si fa meno erta. Con un po' di sceneggiata consegno la fotocamera allo sbadato escursionista, faccio un tratto di strada assieme e poi nell'apertura dei mondi alpestri delle buse tedesche saluto l'andamento lento del gruppo vacanze zainoinspalla. Cammino sull'ennesimo tracciato militare. Mi vien da pensare che la prima guerra è durata tanto perche si son fatte strade ovunque e che le battaglie venissero combattute nelle pause di lavoro. Rododendri dappertutto. Lo sguardo non è mai sazio di panorami, di scorci, di particolari. Si va veloci, il procedere non è difficoltoso in quota, pochi i dislivelli. Un tratto di ghiaione, un ultimo sguardo alle conche ampie delle buse todesche roccaforti austriache e scollino nelle rocce metamorfiche alla forcella delle Buse todesche. La viabilità si rafforza con bordatura a valle e massicciata di muri a secco a monte. Intanto si apre un'altra valle, altri panorami e svoltato l'angolo il Cima d'Asta si sublima nella sua possanza. Un lungo passeggio a fil di cima tra ghiaioni pietrosi e rododendri. Il monte che supero è bifronte, da un versante fatto di rocce metamorfiche, dall'altro granitiche, come se un uomo fosse mezzo bianco e mezzo nero. Comincio ad incontrar sempre più escursionisti, sono lontane le solitudini del primo mattino. Scendo verso oriente calamitato da uno specchio blu che diventa oggetto del desiderio. Entro in un'antro della roccia, postazione militare, per guardare lo spicchio di visuale con occhi diverso. Mi ritrovo al bordo del lago, a forma di cuore. Leggere increspature lo rendono vivo, le nuvole che si specchiano ballano. Poco sotto ...forcella Magna...difatti ci sono avventori con luculliani panini in mano nel crocicchio incontro di sentieri. La mia freccia mi indicata che la mia via sale su...(le altre indicavano vie più allettanti!). Va beh. Risalgo su una strisciolina di sentiero a zig zag sul costone nudo. Pervengo ad un bivio, entrambe le vie mi portano alla successiva meta. Chiedo informazioni a tre personaggi che arrivano, se proseguire per la ferrata. Sono inglesi. Io parlo poco più di un acca d'inglese, loro un italiano da penisola britannica. Mi attardo un po' nel prendere una decisione, poi li seguo. Li riprendo e mi lasciano passare su un tratto ferrato. Il sentiero diventa via per capre tra rocce e ghiaioni. In senso inverso scendono delle persone ed una signora chiede se per caso ho visto un cellulare che perduto cercava disperatamente...E chi sono io il cercatore di oggetti perduti?... Continuo con fatica su brecciame appuntito, sento uno strano soffio, guardo; è una vipera in fase difensiva. Resto immobile. Va lei o vado io...Va lei, risoffiando striscia sotto le pietre. Poi davanti a me uno strapiombo di roccia. Lo si deve superare salendo su pioli di ferro. La stanchezza comincia a farsi sentire, risalgo gli artificiali appigli con estrema cautela e come esco sul soprastante crinale ne ho sollievo. Altra sosta sento le forze al lumicino, provo a mangiare. Con fatica ingollo mezza pastina. Arrivano gli inglesi. Ci facciamo un gran discorso. Ad ogni parola vedo la mente che va a sfogliare il dizionario ed i libri di testo, così fan loro avvantaggiati dal fatto di essere in tre. Alla fine li guardo e sorridendo sbotto in una surreale commento -my english is wanderful!!!- oh yes loro di rimando, mentre ripartono. Sosto ancora un po'. Riprendo ma con fatica, mi fermo più volte, quindi su ancora su "simpri su". Oddio quanto manca a veder la fine de 'sta salita. Poco manca poco, i miei nuovi amici sono là seduti che si sbaffano una birra con british eleganza. Un gesto di offerta , alzo la mano come di ringraziamento, saluto sempre in mimica e mi precipito lungo il pendio a peso morto. Intanto la poderosa parete della Cima d'Asta si svela nella sua essenza, sotto il lago blu intenso ne fa da specchio narciso. Veli leggeri di nuvole vanno e vengono si trasformano in pennacchi che salgono, in corpose nubi che scorrono, in fumaioli ballerini, scompaiono, nascondono la cima, la esaltano. C'è un via vai al rifugio Brentari di escursionisti, dall'interno escono note di un coro di montagna, chi in piedi si gode il panorama, chi seduto si abbuffa in un panino. Bevo ingordo dalla bottiglia di te, poi riprendo il cammino stavolta verso la fine del viaggio. Seguo una linea dritta lungo le placche lisce di granito senza degnare il reale tracciato. Scendo sicuro e quando la pendenza si fa più cosistente adeguo il corpo ad una posizione baricentrale...più da seduta. Corricchio nella parte bassa attento alle pietre taglienti come pugnali se scivolo sono infilzato da quelle lame litiche. Poi il bosco di larici ed una strada forestale mi riporta alla base di partenza. Totale circa 10 ore di viaggio fra le meraviglie dei lagorai. Due fette di pan carrè con sottiletta, una mezza pastina e un litro di tè il mio sostentamento.

venerdì 15 luglio 2011

ALTA VIA DEL GRANITO (1^ parte)


Men vo' che è ancora notte fonda. Sfilo via veloce fra le rotatorie infiorate del centro cittadino illuminate dalle "lampare". Un gatto attraversa la strada come un razzo rigorosamente sulle strisce pedonali. Incrocio qualche auto che sta ritornando a casa forse da una notte brava. M'imbuco, poi, nell'oscurità nella valle della Senaiga da cui compaiono dalle tristi brume del fondovalle le solitarie case di Chioè, su strada d'asfalto che sa d'antan, di buche e di curve strozzate. Poi si varca in Trentino s'allargano le corsie, s'allarga la valle, il paese di Roe dorme placidamente, allegro. La strada cammina alta, a destra s'indovina la valle che sprofonda, s'inabissa oltre la vista verso le viscere della terra. A Castel Tesino un semaforo rosso t'induce a fermarti, sembra dirti di non disturbare l'ultimo sonno dei dormienti. I lavori stradali rimandano verso vicoli stretti nel cuore del vecchio centro montano. In un incrocio indugio nel proseguire, compare come da copione un' auto (posto giusto al momento giusto), il manovratore mi toglie dai dubbi e son libero da proseguire spedito fino all'agognata malga sorgazza da dove "calzato" lo zaino varchèrò nel mondo silente dei Lagorai.Mi fermo un attimo sulla strada dove m'informo su un paletto segnaletico, m'indica senza tante parole la via. Guardo nella direzione da prendere, chiudo gli occhi, m'inebrio in un respiro profondo...parto, si va, ce ne sarà da..."pedalare". Un gallo canta, manco fosse un tifoso che m'incita.Una lieve luminosità fa da preludio al nuovo giorno. Prima di infilarmi nel bosco scorro in alto con lo sguardo verso il cielo; piccole stelle brillano insieme a nubi scure minacciose. La vista corre verso la massa scura del Cima d'Asta, una formazione mefistofelica la tiene segregata. Il sentiero è curato da poco, falciate le erbacce e tagliati i rami bassi degli alberi, cammino d'istinto nella flebile luce che sale. Proseguendo m'accorgo che è una massicciata ben disposta probabilmente un'opera militare. Ne trova conferma più in alto quando chiari manufatti escono dalla vegetazione, paletti di cemento fanno da paracarri e postazioni artificiali si svelano con didascalie. Vengono chiamate finestre e puntano lo sguardo truce verso i costoni orientali da dove una luce aranciata rivela l'aurora. Sobbalzo ad un improvviso verso che riempie l'ombra. Un rumore scende verso il bosco, poi abbai ripetuti di un capriolo, gli faccio eco, riprende con ulteriori abbai sgraziati. Il suo fare è insofferente, nemmeno l'avessi svegliato nella fase rem. Intanto esco dalla vegetazione e s'allargano ampi spazi. Il colore più intenso lontano ad est indovina dove si leverà il sole, il cielo s'incendia di rosso. La luce s'infrange nella bruma e ne rimanda un velo soffuso. Sembra di trovarsi in un quadro da trompe l'oil. Leggere nuvole rosate vagano fra le cime di Costa Brunella baciate da primi raggi. Intanto in alto la bianca diga si para come una forma d'arte contemporanea. Ci arrivo con il sole in fronte. Mi soffermo a guardare in basso il lago artificiale in cui si specchiano i monti sovrastanti. Le acque ancora scure aspettano pazienti che il sole si tuffi. D'intorno l'esplosione delle fioriture di rododendri, i massi granitici, il verde dei pendii, in una simbiosi naturale t'incantano come in un mirabile giardino. poi le rocce squadrate, le gulie le cime che sembrano lavorate da una mannaia, i grossi blocchi, le mille pietre rimandano a scene cinematografiche apocalittiche. In uno degli infiniti laghetti lo sfregare dei raggi appare come lo sfavillio d ipulviscolo dorato sparso dagli elfi prima di svanire nel nuovo giorno. Un sibilo lacera i silenzi d'alta quota. Una marmotta ritta zulle zampe averte dell'intruso. Di tanto in tanto con la coda dell'occhio vado alla Cima d'Asta. La mefistofelica persiste, poi come d'incanto mollerà l'ormeggio. Arrivo col giorno fatto a Forcella Quarazza. Al di là un'altra valle. Sa di silenzi, di spazi estesi. C'è una magia sospesa, rassicurante, lenta. Proseguo alto sulla valle. Mi giro ed in controluce la corona svela immagine fatate di manieri in rovina. Abitazione in castelli magici che rimandano e intrappolano la mente a fiabe incantate. La luce che filtra evapora, il sole s'incunea in una fessura e ne sboccia come un diadema. Poi un'altro passaggio in quota: il forzelon di Rava. Dal basso salgono belati. In alto una ridda di creste che sforano il cielo. Sto attento alla via giusta, un reticolo di sentieri ti porta all'errore. A meridione la scarpata asiaghese si perde nella velatura delle nebbie. Respiro la solitudine del luogo. Giù, sotto rocce poderose, dorme placido nelle ombre un lago. Si riflettono nel blu le rocce e si muovono nella brezza come in un tremolio. C'è una spiaggia di casta sabbia. Nessun bagnante ha il coraggio di sdraiarsi qui. Il tempo ha perso il suo valore; mi ritrovo alla forcella Ravetta. Una croce monca,
storta, consunta dal tempo rimanda a lutti lontani nel tempo. Intanto a settentrione fa mostra di sè la lunga catena dei Lagorai, dalle rocce brune e dai dolci pendii verdeggianti. Calo lungo la discesa ghiaiata verso il rifugio Caldenave, supero una lingua di neve, poi scorro in un bosco di larici, a lato di un torrentello che via via si fa più bandalzoso fino a gettarsi nella piana verde e proseguire in un sussurro lungo un meandro. Cavalli pascolano nell'aria riflessa dai raggi. Trovo una fotocamera smarrita da un improvvido escursionista. Mi fermo al rifugio per un caffe ristoratore.