tramonto

sabato 16 ottobre 2010

CAURIOL


Alpino De Bastiani Francesco, classe 1894, appartenente al 7° reggimento alpini, 66° battaglione "Feltre", uno fra i tanti che vissero in prima persona l' "epopea" del Cauriol, durante la prima guerra mondiale. Fra i suoi ricordi, quello che più lascia sconvolti, fu l' attacco per la conquista della vetta, di oltre cento uomini, si salvarono soltanto una decina. Più che dalle pallottole, furono uccisi dalle scariche di massi gettate dagli austriaci che stavano in alto. Data la natura del terreno per chi saliva non c'era scampo. Si salvarono solo coloro che ebbero la prontezza di rifugiarsi soto le rocce ed attendere la notte per ritirarsi. Piccoli episodi di una guerra assurda di combattimenti di posizione che spazzò una generazione di giovani . Battaglie che ad un prezzo enorme di vite umane servivano per conquistare inutilmente una vetta per riperderla l'indomani. Con questo ed altri ricordi del nonno di mia moglie mi appresto alla salita. I metereologi avevano previsto un repentino calo delle temperature in questo inizio di settembre. Difatti al rifugio Refavaie spira un freddo vento gelido. Risalgo lungo la strada forestale a fianco all'alveo di un torrente imbrigliato che defluisce prepotentemente a valle, più in alto si addolcirà in mille rivoli ognuno rivelando una propria melodia, un proprio carattere. Il cielo è limpido, oltre il bosco di alti abeti, fanno bella mostra di sè i coni delle cime che formano il complesso della Cima d'Asta. A malga Laghetti seguo le indicazioni verso il Cauriol. Mi inerpico su un sentiero ripido, duro (in fondo...siamo alpini) che si ostina a indurre alla fatica. Di tanto in tanto si colgono tracce di ruderi come della chiesetta, del comando del battaglione, della stessa mulattiera che soffocano nell'oblioe nell'incuria del tempo. Poi d'improvviso, terminato il bosco, mi trovo sotto il ripidissimo pendio che volge a mezzogiorno. Risalgo faticosamente, votato anch'io come gli alpini al sacrificio e mi immedesimo in loro in questo ambiente per capre. Tra frane, rade tracce di passaggio, resti di camminamenti, di trincee, di baraccamenti, proseguo inarrestabile verso la cima, in uno scenario paesaggistico da mozzafiato. Ampi spazi, cieli azzurri, verdi vallate, silenzi accompagnano ogni passo. In vetta un'orchestra di cime sembrano posare per la mia vista. Qualche traccia di ghiaccio ancora persiste della fredda notte, il vento si mitiga nel caldo sole, le pietre sembrano parlare. Gente che sosta che arriva che scende, si lascia incantare dal luogo. Dopo una sosta che mi permette di mettere a fuoco racconti di un tempo scendo lungo la via italiana superando il Piccolo cauriol ed il passo Sadole, dapprima corricchiando poi di corsa rientro a valle, mentre le nubi lentamente s'impadroniscono del cielo, preludio del maltempo incombente che nella nottata successiva porterà le prime nevi settembrine.

VAL CASOLE

Il percorso come questo che si infila risalendo la nascosta Val Casole, immissaria della Val canzoi, ad oriente oltre il lago, ormai dimenticato avendo da tempo perso la sua funzione, sta lentamente scomparendo. L'itinerario portava ad una malga, dove le fatiche dell'uomo avevano sottratto alla ruvidezza del luogo uno spazio per le proprie esigenze di sussistenza. In una vecchia guida c'è anche la descrizione di questo tracciato. La mancanza della fruibilità e l' abbandonata manutenzione fa si che piccole variazioni dovute a danneggiamenti provocati da calamità naturali, a smottamenti (anche di piccola entità), ad un taglio della vegetazione importante e la non più controllata ricrescita, oppure la stessa infiltrazione del bosco in un pendio erboso può occultarne il sentiero.Anche se nelle descrizioni ci possono essere dei riferimenti precisi, questi diventano dettagli talvolta inutili. Rimane all'escursionista la capacità di saper leggere il territorio, capire come potevano muoversi nel tempo gli uomini. Capire le tracce, l'andamento del terreno, l'esposizione della luce ed altre mille particolari, può essere d'aiuto a raggiungere la meta. Così in questo mio viaggio ho dovuto far tesoro di queste "percezioni". Vedere poi nella fitta vegetazione svelarsi i resti delle attività di un tempo copme gli spazi per le carbonaie, muretti che servivano a stabilizzare il percorso, i luoghi di approvigiamento di acqua, il pendio un tempo erboso pascolo degli armenti, ora relitto fra boschi d'alto fusto, e le stesse rovine della casera, ti fanno sentire parte del territorio. Qui vicino al manufatto scende un canalone dal gruppo delle Tre Pietre in un ambientesevero, rude, in alto un coro di guglie di pareti rocciose possenti che incutono rispetto, ma che ne amplificano i silenzi, che liberano all'animo paure e nel medesimo tempo benessere di libertà.

giovedì 14 ottobre 2010

A FUTURA MEMORIA


Lungo il sentiero che porta al rifugio Dal piaz, ci sono due fontane in cemento che nel tempo venivano usufruite dalle persone di passaggio, da coloro che operavano nelle abitazioni adiacenti o dal bestiame che saliva agli alpeggi. Fa bella mostra di sè la data di costruzione: 1938 seguita dai numeri romani XVI (che sta per 16° anno dell'era fascista) con in alto non ben visibile in bassorilievo l'effige del fascio accompagnato dalla sigla PFN. Il tutto in stato di degrado, abbandonato nell'incuria, con le erbe ed i cespugli che tendono ad occultarle. Nella vasca acqua piovana ristagna accogliendo le foglie che macerano lentamente. In tempi come quelli odierni dediti a festeggiare ogni sorta di "ricorrenza alla memoria" (palii, ricostruzioni di battaglie, rievocazioni di episodi di vita ...andata) chissà cosa riserverà a queste due vasche il 2038, nell'anno del centenario. Forse ritorneranno all'antico splendore, magari per il tempo di una festa. Oppure verranno riprestinate alla loro vecchia funzione perchè i fasti del nostro tempo si saranno sopiti e saremo tornati ai lavori ed alle fatiche di un tempo, o forse l'oblio del tempo le farà diventare tesori nascosti a futura "scoperta archeologica".