tramonto

mercoledì 14 dicembre 2011

GUIDE "ALPINE"


E per primi vennero gli inglesi che inventarono il moderno turismo. Nobili ed aristocratici, scesero nel lontano ottocento ai solatìi paesaggi italici e scoprirono le bellezze dolomitiche. Ne descrissero i viaggi in reportages che diedero lustro alle nostre terre. Poi scritti di Brentari o di Castiglioni (per citarne alcuni) estesero alla conoscenza luoghi e scalate alpinistiche. Guide ormai introvabili che rasentano la "leggenda". Negli anni sessanta e settanta del novecento iniziarono le monografie, che vedevo belle schierate negli scaffali delle librerie, tascabili. Quelle del Cai, guide alpinistiche dei monti d'Italia o della Tamari Editori in Bologna, nei cui libelli venivano trattate per prime le alte vie a firma di (tra gli altri) Rossi, Brovelli Sanmarchi...Per quanto riguarda i "monti di casa" nel 1972 esce Le Alpi Feltrine di Bertoldin De Bortoli Claut...per me appassionato di montagna diventa da subito la "bibbia". Vi sono descritti, talvolta in uno scarno condensato di notizie, tutte le cime ed i luoghi dei monti feltrini con relatvi sentieri e documentazione di ascensioni. Da allora quel libro mi seguirà sempre, soggiornerà periodicamente in camera, in cucina, in sala, ritengo che nessuno abbia sfogliato quella guida al mio pari...In seguito usciranno volumi più specialistici, quello di De Zordi darà una rassegna più dettagliata sulle scalate, Lasen e soprattutto Soppelsa e Dal Mas nella più attenta e particolareggiata descrizione dei sentieri escursionistici. Ora forse si aspetta una nuova "frontiera" nella narrazione dei nostri monti. Mi piacerebbe che i racconti del mio blog ne fossero una testimonianza. Ne uscisse l'anima della montagna presa in considerazione, il suo genius loci. Il lettore venga coinvolto nelle sensazioni che il luogo trasmette. Sapere che salire il Forzelon è cosa ardita per i più (ad esempio) che sulle vette è da arrivarci nell'esplosione delle fioriture, ma soprattutto alla fine di novembre quando il sole è basso sull'orizzonte in giornate terse, nelle cui vallate sottostanti le nebbie nascondono tutto e quassù sferzano poche ma velocissime folate di vento gelido. Oppure camminare fino alla costa dei tei e capire cos'è davvero la wilderness...o comprendere appieno l'emozione che si libera quando arrivi in vista dei Piani eterni!!

venerdì 2 dicembre 2011

OLTRE 7000 m. DI DISLIVELLO (2^ PARTE)


Arrivato alla forcella mi lascio cadere a terra. Appoggio le mani agli occhi e sento nella testa vampate di fatica. Penso se sia il caso di proseguire, poi competo che in ogni caso devo scendere. Mentre consumo un magro spuntino decido di calarmi a valle poi si vedrà. Le nuvole si sono accoccolate stantie sulle cime, il grigiore sopravanza il blu della volta. Una manciata di tempo di riposo e riparto. Scendo deciso lungo le accidentate balze dei pendii. Un susseguirsi di roccette affioranti, macereti, erbe fiorite dove cardi dai toni violetti e gigli dalle tinte aranciate dipingoni i magri zerbi. Corricchio con fanciullesca baldanza e calo di quota come nei fotogrammi d'immagini cinematografiche accellerate. Le gambe hanno trovato un giusto equilibrio ed a proprio agio s'inoltrano nella faggeta che in basso si sostituisce all' erbato declivio. Mi ritrovo dopo circa tre quarti d'ora al bivio. L'amletico quesito "salgo o non salgo" s'insinua. Decido senza tanto ragionare di voltare verso l'alto. Ringalluzzito e rigenerato nelle forze ho l'impressione di non sentire gli affanni dell'erta. Dura poco l'improvvido sentore. Come le gambe se ne accorgono sono lamenti. Tutto il corpo propende per un rapido ritorno a casa, sogna un morbido giaciglio. Invece risalgo stimolato da qualche masochistico neurone lungo cenge e costoni ripidi e malignamente sadici. Il silenzio è rotto da leggere bave di vento. Cerco un andare che trovi un equilibrio tra fatica e resistenza. Le grige rupi ed i verdi penddii cercano di mitigare il proseguio. Vado avendo la sensazione di automa che esca dal proprio corpo. I rumori che percepisco diventano surreali divagazioni della mente. In alto le ultime rocce aeree che supero, la forcelletta che scavalco e svela un'ennesimo punto intermedio di arrivo riequilibria corpo e mente. Mi aspetta l'ultimo tratto di salita. Ritornare al Forzelon e poi verso l'estremità della busa delle Vette. Uno stanco incedere mi porta al Dal Piaz. Le cime, i profili dei monti, i colori, le sensazioni rinbalzano, sembrano estranee; le percepisco ma passano, non lasciano incanto. Oltrepassare l'ultimo passo diventa nulla consolazione. Poi il rifugio un caldo tè, diventa sollievo, diventa nuovo vigore. Riparto e m'involo verso la fine del viaggio a Croce d'Aune. Al termine incontro un'altro escursionista di ritorno. E' felice s'è portato a spasso i suoi oltre cento chili su fino al rifugio, ora guarda in alto con sguardo sereno. Penso al mio percorso oltre 7000 metri di dislivello, poco più di 10 ore di condensato di fatiche, gioie, sensazioni, dubbi, imprecazioni, corse, stordimenti... Ognuno ha bisogno di cercare la propria via.

mercoledì 16 novembre 2011

OLTRE 7000 m. DI DISLIVELLO ( 1^ PARTE)


Notte profonda scivolata via lenta senza portare sonno. Raggruppo poche cose nello zaino, mi gusto un caffè e via in sella della bici verso un sogno da concretizzare. Era da tempo che lo tenevo per me. Percorrere in sequenza i sentieri delle vette, salendo e risalendo più volte la scarpata oceanica. Alla prima salita gambe e testa all'unisono saltano giù dal ferrovecchio rosso, la bici non fa per loro. Risalgo l'erta verso Vignui spingendo a forza di braccia, mentre ad oriente la sottile striscia arancio pittura l'orizzonte. Nel risveglio del bosco si sfidano in melodiche tenzoni gorgheggi e canti, merli, usignoli, fringuelli, pettirossi in un crescendo musicale, amplificato da questo auditorium naturale. Oltrepasso il paese che dorme come fola di vento e mi involo verso la valle di San Martino. Appoggio nel retro della chiesetta il mezzo. In alto le cime riflettono le prime luci del nuovo giorno. Cerco un momento di concentrazione, come dovessi chiamare a rapporto tutte le forze per un ultimo controllo. Parto. Mi aspetta una prima salita di circa 1400 metri, su in alto fino in Ramezza. Mentre percorro lo sterrato disturbando il silenzio con i miei passi sul ghiaino, il sole pennella le cime di luce viva, passando di rupe in rupe, prima di scendere lento inondando i declivi. Il verde del fitto bosco, i colori dei fiori contrastano con l'azzurro del cielo. Salgo lentamente cercando di non disperdere le forze. In breve sono all'uscio di casera Ramezza Alta, davanti a me l'ampia forcella di Scarnia sembra aprirsi a ricevere il sorgere del sole. In controluce tutto diventa ombra nera d'attesa. I prati d'alpeggio sono pregni di guazza, le gocciole brillano. Salgo incontro al sole, dapprima strisciandone accanto poi frontandoci viso a viso là sulla forcella, luogo d'incontro di viandanti. Grappoli di gialli maggiogiondoli stesi a regalarsi la carezza di una calda brezza. Il cammino mi porta verso le mughete ed i contrafforti del Sasso Scarnia che qui si fanno idilliache figure fantastiche di guglie e torri. Una nube piroetta su esse in giochi infantili. Continuo a salire e le piante lasciano il terreno a esili prati, le rocce lasciano terreno a ghiaioni. Mi sento sempre più a contatto con il cielo. Ombre lasciate come scia dalle nubi che vanno aumentando e rubando pezzi di cielo. Raggiungo i circhi di Ramezza e via verso Pietena oltre piazza del Diavolo. Mi sento librare. Lo sguardo scorre agli ampi panorami che l'altezza regala. Altre volte si sofferma sul rosso di tappeti di rododendri, al biancore delle vertiginose rupi. E via verso un'altra meta intermedia e con lo sguardo scorrere ai luoghi che andrò a ritrovare più avanti durante il cammino. Prima del Passo Pietena scendo verso la conca passando, tra gialli botton d'oro, tra i pochi resti della Casera Pietena che resistono all'oblio del tempo. Ancora giù a Pietenetta, memoria di partigiani ed inglesi durante l'ultimo conflitto, e poi mi lascio trasportare in corsa dal zigzagante sentiero che s'incanala fra rudi e severi pareti grige, fino a scomparire nel fitto e finire tra i fatati abeti del Piano dei Violini. Qui indugiare un po' cogliendo l'occasione per rifiatare e ripartire verso altre altezze. Bosco fitto, ora. Pian piano le spavalderie della discesa, sono sopraffatte dalle fatiche dell'ascesa. Passi lenti, il sudore che cola lungo le gote, il respiro che si fa via via più affannoso. La salita che sembra via via interminabile. Le forze che si affievoliscono. Mi sento svenire, mi appoggio ad un provvidenziale costone roccioso. Mi siedo con gli occhi chiusi, sembra che tutto debba finire qui. Li riapro dopo pochi istanti che sembrano essere stati eterni, un cuscino di delicati fiori lievemente rosati sembrano messi per confortarmi. Riprendo forze, riparto. Su comincio a vedere di nuovo spazi che si allargano, prati d'alta quota. Nuvole che vagano e che si accalcano sulle cime. Un ultimo sforzo, arrivo al Forzelon...a metà della "scampagnata".

sabato 5 novembre 2011

PAVIONE


Ahi le dolenti note! Le gambe reduci da una gara di nordic stamattina si sarebbero volentieri girate nel letto dall'altro lato, ma la mente invece vola e giocoforza sono costrette a seguire...il capo. Le tante auto parcheggiate lungo la via di Croce d'Aune dicono che oggi s'incontrerà parecchia gente in quota. Nel primo varco del bosco l'abbaglio del sole è sparato negli occhi come un riflettore da terzo grado. Sui declivi si distende placido sui tono rossobruni di fine stagione e ne amplifica il volgere al desìo. Sulle rocce s'infrange di luce intensa proiettandone ombre scure, mostrando una lunga scia ininterrotta di chiaroscuri. Risalendo il sentiero è una mescola di colori, rosso mattone dei faggi, giallo di aceri e larici che si cambiano d'abito, verde intenso di abeti che si spingono il più in alto sui declivi a rincorrere il cielo. E poi quello quadrettato di nostalgiche flanelle anni settanta, a variopinte felpe, a tecnolociche moderne giacchette. In cielo lenti si spostano cirri arabescati. Poi quando i panorami si svelano nella loro intierezza, un grande mare bianco cela tutta la valle. I monti in penombra sembrano isole galleggianti, tagli scuri onde da cavalcare, altre s'infrangono sulle rupi di scogliera, l'astro irrora le nebbie. Supero parecchi escursionisti, supero anche il rifugio Dal Piaz e dirigo la barra verso le alte creste baciate di sole. I giochi d'ombra nella Busa delle Vette metteno in risalto le doline che assomigliano a testimonianze di bombardamenti naturali. Un lago fa da specchio al monte vanesio che s'affoga riflesso. Sulle creste un gruppo risale lentamente la china, lunga processionaria. Li raggiungo, li supero mentre discutono sulla grandezza del creato. Nell'ultimo tratto sento le gambe mugugnare, dò loro qualche attimo di rifiato sostando. Poi la cima dà un esagerato sbalordimento di sensi. Monti che si perdono inseguendosi, creste viste d'infilata che si disperdono nell'orizzonte, colori dei monti bluastri che si smarriscono nelle foschie di luce, l'oceano bianco delle nebbie che s'espande lentissimo. Le nevi sulle cime preparano comodi giacigli per le prossime e future. Aspetto l'arrivo degli altri che disperdono i loro sguardi negli immensi spazi, ricercando cime da poter nomare, accostandole a ricordi passati. Ridiscendo involandomi lungo il ghiaione con chiasso di cristalleria, muovendo le schegge di roccia. Poi ripresa la mulattiera cammino tra zone d'ombra dove i pendii sono casa di spogli scuri salici e larici liberatisi delle foglie d'ago, accompagnati da un'intrigante lieve brezza di tramontana. Là invece dove il sole insiste rimangono le erbe tinte ancora di verde restie a colorarsi di bruno. Infine scendo mescolando colori e fotogrammi in un rapido susseguirsi.

mercoledì 26 ottobre 2011

BUS DEL CAORON


Ormai in valle, madre natura sta liberando le sue energie nella sublime arte della pittura, ingentilendola di colori giallo e rossi intinti nelle terrre brune e rilasciati in mille sfumature diverse. Il lago dalle acque ferme, salvia, è scarabocchiato da una scia scura di terra e foglie sospinta lenta dai fluidi. Una pioggerellina fina d'autunno si posa sul volto come delicati spilli. Immmergersi nel bosco che rammenta la pioggia nel pineto fa materializzare fra i vapori e l'intrico, il vate e la diva che si rimandano versi. Poi come un eco si disperdono erranti e leggeri, silenzioso battito d'ala. Immagini reali si sostituiscono a pensieri immaginifici. Poi d'improvviso retorico "urlo sotto il maestrale". Un rumore sordo che si fa via via più possente. L'onda biancheggiante rimbomba nel fitto. Scorre svelta dopo essere stata vomitata dalle viscere d'un antro terribile e dopo breve vita si getta nel lago a placare la propria irruenza. Intanto i colori, le rocce, le nebbie, il cielo, si amalgamo e si frantumano esaltandosi e negandosi effimeri e mutevoli.

martedì 25 ottobre 2011

LA BORALA


Fitti boschi, erbe incolte, ghiaioni, rocce grige, faglie, fratture profonde, mughete, cenge aeree, intagli, balze rupestri, pendii scoscesi, cieli blu, nuvole che passano e vanno, verdi zerbi, fruscio del vento, silenzi ovattati, lievi brume stantie. Luoghi che ti respingono e ti attraggono come un magnete. Ambienti selvaggi, severi, rudi, inospitali. Tutto sembra fermo, tutto si muove! Siamo nella wilderness dei Monti del Sole. Il sole sta esplodendo a levante sparpagliando le poche nubi che lo celano e riempie le cime di tinte rosso brune. Nella valle le ombre nere svivolano come onda. Il lago del Mis assorbe e rimanda tutto l'attorno come una lieve melodia pittorica. Risalgo l'asfalto, oltrepassando il paese di Gena, muto borgo che parla di non lontano fervore di umile lavoro contadino. Poi sono boschi fitti, silenzi rotti solo da lievi brezze.Il proseguire è su ardimentoso sentiero. Ancora le ombre riempiono la valle. La vista si scontra con possenti torrioni rocciosi, invalicabili, imponenti. Camminando si superano cenge che rifuggono precipiti bancate, piccoli rigagnoli cantano scendendo nelle scalfitture vallive, le mughete diventano ingombranti ostacoli. Tutto affascina e angoscia in un ribaltamento emozionale continuo. Il tracciato ti porta inevitabilmente alla meta, lo segui ammaliato, quasi soggiogato. Quando arrivi alla Borala, che oltre non puoi andare resti zittito. Lo sguardo scorre verso l'alto lungo le possenti bastionate, le torri arcigne, le merlate cime d'un imponente maniero roccioso. Sfidano il blu turchese le guglie. I magri declivi sembrano bere la luce del sole che filtra tra le forcelle, dove un tempo si pensava passassero gli dei. Nel silenzio mistico i pensieri si fermano, solo gli occhi assorbono le parole del luogo. Diventa improbo staccarsi da qui, dove la natura emana religiosità. Nel fitto della faggeta c'e il giallo del bivacco Valdo che vado a raggiungere. Con un'altro escursionista, arrivato nel frattempo, cerchiamo il sentiero che dovrebbe, a detta delle cartine, portare a forcella Zana; ma non v'è traccia. Ridiscendiamo. Poi io scenderò lasciandomi trasportare dalla corsa che all'interno del bosco, dove minori sono i pericoli, diventerà una fanciullesca volata.

venerdì 7 ottobre 2011

ALTA VIA DELLE LEGGENDE


Correva l'anno 1982 e noi correvamo, chi in bicicletta, chi in motorino, alle feste paesane. In un'afosa serata estiva probabilmente intorno a ferragosto a Pez ci trovammo a discutere di escursioni in montagna, non tanto lontani dalla spina della birra. Qualcuno, che sostava da parecchio in quel luogo propose di avventurarci in un qualche trekking di più giorni; ovviamente la scelta cadde sull'alta via 2 delle dolomiti, tratta Brixen-Feltre. Poi quando il livello di guardia della birra aveva superato certi confini, i fumi dell'alcol generarono la disgraziata idea di compiere un'impresa, stabilirne il record di tempo. Si favoleggiava che uno sconosciuto escursionista tempo addietro avesse percorso quei quasi 200 km in quattro giorni e mezzo. Rammento che una lampadina mi si accese immediatamente. L'anno prima l'avevo fatta con l'amico Silvano in cinque giorni e mezzo senza tanto faticare, quindi fatto due conti personalmente l'impresa era fattibile. Il crocchio di persone intanto s'era fatto numeroso e i pretendenti erano diventati tanti. Svanite poi l'indomani le esalazioni da alcooltest, di "atleti" ne rimasero ben pochi. Partimmo in auto di mercoledi in quattro. Di sicuro facemmo la miglior prestazione automobilistica da Feltre a Bressanone, in quanto credo il pilota non scese mai sotto i centoventi, nemmeno nei centri abitati (allora i punti alla patente erano di là da venire). La nutrita spedizione alla fine si ridusse a me ed al mitico Bastianel (al secolo Walter De Bastiani). Da allora sono passati quasi trent'anni ed i ricordi sono diventati ovviamente nebulosi, ma qualche episodio è rimasto indelebilmente impresso nella memoria. Ricordo l'uscita dal rifugio Plose, là dove muovemmo i primi passi con lo sguardo rivolto alle Odle, prima barriera da superare, in una giornata serena. Lungo la pista di sci ci portammo al paese sottostante cercando un albergo dove si doveva apporre un timbro sul libretto di guida. Segnale inequicovocabile per poter aspirare alla spilletta che ci avrebbe onorato di entrare negli eletti, al pari della conchiglia di chi percorre il cammino di Santiago. Il gestore del locale, alla nostra richiesta, ci trattò in malo modo nell'idioma sudtirolese negando il timbro...non era possibile! Rischiavamo che una simile banalità ci inficiasse l'impresa. Facemmo leva sulla forza di italici invasori alzando il tono di voce e mettendo così in allarme gli avventori, per raggiungere lo scopo. La salita verso il rifugio Genova la feci con esuberante dispendio di energie. Al Puez ci fermammo per un pranzo ristoratore, un abbondante piatto di spaghetti che lo stomaco scombussolato dal cammino si premurò di lasciare in loco poco discosto. Oltrepassammo quindi il Passo Gardena e ci involammo sulle bastionate della scarpata oceanica dell'isola Sella. Su lungo la val Setus, il terrazzamento dove c'è il Cavazza, su più in alto fino a sfociare nell'altopiano sommitale. Qui trovai una senzazione unica di cielo. Chiusi gli occhi, mi abbandonai a respirare spazi immensi nel silenzio, allargai le braccia girando più volte su me stesso. Era come abbandonarsi e naufragare dolcemente nel mare di Leopardi. Sentii più volte l'eco del mio nome volare in quel tempo sospeso, era Walter che mi chiamava non vedendomi dietro di lui. Pernottammo al Rifugio Boè, mangiammo...chissà se mangiai quella sera, dormimmo...forse un po'. L'indomani alle prime luci dell'alba eravamo già in cammino. In un batter di ciglia scendemmo il ghiaione verso il Pordoi, ed in breve ci trovammo a specchiarci nel lago del Fedaia. Gli scarponi mi avevano distrutto i piedi, non trovai di meglio che togliermeli e di percorrere il tratto fin oltre malga Ciapela scalzo. Poi la salita verso il Forcarossa divenne un'agonia. Eravamo a metà del cammino e le forze erano già al lumicino. Sono convinto chè là dove si scollina verso i declivi verdi del San Pellegrino ho capito ciò che fa la differenza in queste improbe imprese. Si va avanti esclusivamente con la forza della determinazione. Ed è questo che quel giorno mi ha consentito di arrivare alla seconda tappa...Mulaz! Il terzo giorno sarà un vagare sulle Pale in lungo ed in largo. Guglie, bastioni rocciosi, gole profonde altipiani silenti, salite e discese, infinite come quella che dal passo delle Lede ci porta a fondovalle passando Per il Minazio e poi il Cereda ed ancora su verso gli infidi ghiaini dell'Intaiada. I rimbrotti lontani di tuono, le nuvole minacciose sempre più cupe che si avvicinano. Lampi, vento intenso, tuoni sempre più marcati. Varchiamo la porta del Bivacco Feltre in Cimonega che si scatena il diluvio universale. Quindici minuti da fine del mondo. Poi una calma apparente da quiete dopo la tempesta di pascoliana memoria. Si riparte, data la luce del giorno che non sta ancora voltando nelle ombre del crepuscolo. Meta un caldo minestrone al Boz. Ai Caserin ci sorprende uno strano vento. Intanto il velo della notte comincia a stendersi. Un colpo di tuono secco, lampi che illuminano a giorno l'andare. Ricomincia a gocciolare, poi si scatena l'inferno. Le ultime energie ci fanno volare giù verso la salvezza in Neva. Spalanchiamo la porta, ci avventiamo in un angolo libero della stanza, ci togliamo lo zaino, gli indumenti fradici, facendo a terra un lago. Alzo gli occhi e vedo occhi sbarrati verso di noi, increduli, silenziosi. Sono quelli del gestore Scudelin e di Daniele, allora giovane ragazzo alle prime esperienze di vita in rifugio...dopo trent'anni sarà ancora là, lui a mandare ...avanti la baracca. Chissà forse mi sono seduto sulla sedia del larin e mi sono addormentato all'istante, chissà non ricordo. Levato il giorno appresso si riparte. Ormai ci rimane l'ultimo sforzo nel salire la rampa dello Scarnion e poi un lungo saliscendi per superare le varie buse glaciali: del Gevero, di Ramezza, di Pietena, delle Vette, e poi giù a Feltre verso la storia. La spilletta triangolino rosso col numero 2 da appuntare orgogliosamente alla camicia quadrettata di flanella. E Walter a riscuotere la scommessa vinta (una birra!!) di arrivare al negozio di attrezzatura sportiva da Oscarsport prima della chiusura. Quando ancora i negozi abbassavano la serranda a mezzogiorno del sabato.

TRAIL IN VAL CANZOI


Nelle interviste Mauro Corona è solito dire che se si sveglia e si sente scrittore prende carta e penna, se la giornata lo invoglia a scolpire opera da scultore, così io oggi mi sento trailer e faccio trail. Detto fatto. La mente e lo sguardo già stanno correndo in automatico in Alta val Canzoi. Piani Eterni, Forcella Omo, Val Slavinaz, Cimonega, mi passano come veloci fotogrammi. Quindi alle gambe non resta che seguirli. D'altronde ci sono tutti gli ingredienti, rapida salita su sterrato nel folto del bosco, che mi porta all'incanto del paesaggio di Erera Brendol, sentiero nei larghi silenzi verso Forcella dell'Omo, spaziando su ampi panorami, impavida traversata sulle cenge del Comedon sul filo di strapiombi e discesa a rottadicollo verso il rientro lungo le balze del Caorame!! E' già giorno quando parto. Le giornate piovose dell'estate sono già vago ricordo, sostituite da incantevoli ore blu. Le acque del lago placide si muovono sornione con lievi increspature. Aleggia una sensazione di quiete da fine estate. Cerco camminando di captare il giusto ritmo, che trovatolo mi consentirà di salire senza eccessivo sforzo. Lungo i canaloni cominciano a farsi sentire le prime avvisaglie dell'autunno che verrà trasportate dalle sensazioni prodotte dalle fole di vento. Supero degli escursionisti che risalgono lentamente godendosi il bosco. Sul sentiero del Porzil incassato libera il sole tre metri...sopra il cielo, lasciando in ombra la parte bassadegli abeti ed illuminando in un solarium le cime, che sembrano impadronirsi del cielo azzurro. Alla forcella mi fermo un attimo; non si può far a meno di contemplare questa specie di eden che ci riservano i Piani Eterni... ogni volta è un insostituibile "schiaffo" di armonia ai sensi. Scendo nei silenzi della conca dove risuonano gli echi dei campanacci, da poco ridiscesi a valle. Le erbe verdeggianti cominciano a brunirsi etichettando l'avanzare della stagione. Oltrepasso casera Brendol e risalgo il declivio retrostante fino ad incrociare il sentiero che s'inerpica lungo la valle che porta a settentrione. I prati d'alta quota danno spazio a rari alberi. I pendii si fanno erti, rimandano ad altri paesaggi alpini. Il rosso delle rocce danno un tocco di cromaticità. La conformazione litica del monte Brandol sembra una gigantesca onda che in burrasca s'infrange contro gli scogli. Passando tra candelabri di fiori bianchi incontro un escursionista proprio nel momento in cui un branco di camosci, annusata l'aria, fugge celere verso un ghiaione soprastante, altri scompaiono oltre le creste, altri risalgono le erte chine. Alla Forcella dell'omo mi si para davanti la fiera parete del Comedon. Scorrro con la vista verso le Pale di San martino, dove le nuvole si stanno attrezzando a celarne le cime, poi alle rupestri balze dove andrò a cercarne l'esile passaggio. Una sequenza di magri declivi e di strapiomanti paretine si gettano nel baratro sottostante. Vado ad ubricarmi nell'emozione dei passaggi in cengia dove par d'essere un'aquila a volo radente che sfiora i pendii e scompare oltre il limitare del costone. Camminare tra cielo e terra passando come gittata di vento. La sensazione d'essere animale che vaga...libero. Il sentiero esile, talvolta "sgarruppato" dalle slavine invernali, diventa traccia si libra in passaggi aerei, il vuoto talvolta toglie il fiato, il procedere diventa adrenalina. L'arrivo al belvedere, ardito aggetto erboso ti spara in volto le dolomitiche pareti di Cimonega e sottostante la valle col diadema del lago dai colori verde e blu che si confondono. Inizia per me (oggi trailer) la lunga invitante discesa, dapprima su sentiero su cui corro lieve fino a casera Cimonega, poi la discesa si fa più tecnica. M'involo tra i guizzi dei tornanti, danzo lungo gli stretti zig zag, salto i tratti sassosi, precedo le scivolate, scompaio nel folto del bosco. Escursionisti che incrocio per un attimo, il rumore dell'acqua che fa da colonna sonora, la voce del respiro. Poi la fine della corsa. Un anello fatto in quattro ore.

lunedì 5 settembre 2011

LA FORZELETA


C'è una strana luce albicocca che colora il cielo a settentrione. Il sole appena levato tra aloni e circhi di nuvole propone un look saturniano. Battaglioni di nembi avanzano lente con una marcia inarrestabile verso levante. M'inoltro nella val Canzoi alla ricerca di una possibile meta. Osservando la fitta vegetazione noto che il "dipintor sublime" s'è messo all'opera sulla tela monocroma verde ingentilendola di leggere tonalità bruno-ocra. Devio verso l'interno della val Fraina. Risalgo su a Fraina Alta, in un ambiente agreste, dove la mano dell'uomo opera ancora perchè un mondo d'un tempo non scompaia. D'attorno lo sguardo scorre verso appicchi rocciosi, intagli e fratture, pendii rupestri ricchi di vegetazione e di silenzi. Dietro la casa più in alto, il sentiero, pressochè introvabile, entra nel fitto del bosco. Nella quiete s'odono distintamente voci che scendono dall'alto. La via risale erta quasi in punta di piedi ora ricoperta di foglie brune o di rami spezzati, o tra alte erbe. La durezza della risalita rimanda ad antiche fatiche; quelle che sopportavano coloro che ivi transitavano per portarsi nei luoghi di lavoro. Dal profondo del bosco escono voci melanconiche d'uccelli. Devio e raggiungo Saladen, luogo che pare voler strappare al tempo che passa un destino segnato. E' un incantevole angolo fatto di un prato che è inesorabilmente aggredito dall'avanzare del bosco, due piccoli edifici che denotano le rughe della vecchiaia, due alti faggi che piangono un loro fratello schiantatosi qualche tempo fa. Rimangono le mosche, quali vestali del tempio. Riprendo a salire su un tracciato che si fa sempre più esile. Pur scorrendo fra pendii erbosi e boscaglie a mezzacosta, sembra di dover camminare sempre in cengia. Alle volte ci si trova a seguire tracce, alle volte bisogna indovinare l'andare. Nell'ambiente severo della Busa dei Gai, raggiungo altri due escursionisti, là dove il sentiero scompare. Bisogna seguire tracce come il fiuto di un cane. Pare che il sentiero stesso abbia abbandonato il luogo natio e sia andato emigrante, ora ritornato, dopo tanto tempo, non ritrovi più la via di casa. Vaghiamo alla ricerca finchè complice qualche ometto posto chissà in quale "epoca" ritroviamo la via. Faticosamente risaliamo tra confusa vegetazione, mughi, erbe, faggi, si mischiano caoticamente. Poi indovinato il canalone liberiamo le energie che ci portano all'agognata meta. La Forzeleta è uno stretto passaggio che sembra più una feritoia militare d'osservazione che un valico. Se chiedi ad un diabolico tom tom moderno la via più veloce tra la Val Canzoi e la Valle di San Martino ti indicherà questa salvo avere la clausola di avvertire soccorso alpino e pompieri in caso di ritardo. Il varco stretto tra rocce vestite di mughi,oltre ti dà la vista dei severi appicchi rocciosi fratturati dalle tinte grigiobrune della Punta del Bosco lungo. Da lì la vista rimanda ai verdi declivi erti del Colle dei Gai e di Saladen, oltre la vista verso le velate pareti del Sass de Mura e del circolo dei Piani Eterni pronti nel grigiore ad attendere le prime piogge settembrine. Ridiscendo come assorbito nel tempo e nello spazio, dove gli stessi perdono di identità. Precipito quasi risucchiato, come speso accade nei monti feltrini discosti, nelle voragini di abissi. Sono pochi gli escursionisti che si cimentano in questa via, anzi sembra che sia lo stesso tracciato che offra un pass a chi dia garanzie di poter percorrerlo. Per chi ama questo genere di emozioni , qui ne esce appagato.

domenica 14 agosto 2011

CHIESA DI SAN MAURO


Non deve avere tante entrature lassù il santo Mauro. Forse perchè è uno spirito anarchico , oppure ha un'animosità un po' impicciona, o novello messia quale il Lazzaretti d'Arcidosso abbia rivolto strali contro i vizi ed i malaffari di qualche lobbies altolocate. Fatto sta che ogni tanto gli mandano qualche avvertimento incendiandogli il monte fino a lambirgli l'uscio di casa, e talvolta passano a minacce più o meno esplicite. Come qualche anno fa, quando stranamente un grosso masso caduto dalla rupe sovrastante con precisione millimetrica gli ha portato via un pezzo di tetto e tranciato di netto mezzo campanile. Sarà per queste mie fantasticherie, ma il Santo Mauro mi è simpatico. Salgo spesso su alla chiesetta, sopra Arson. E' un bello allenamento. Una tirata alquanto ripida di circa 600 metri di dislivello, un po' su strada sterrata e parte su sentiero. Oggi si respira odore di terra e aleggia un lieve profumo di ciclamino. In questa mattinata da solleone agostano, le fronde della fitta vegetazione, ora all'apoteosi, lasciano il bosco in penombra. Tutto tace, nè un sospiro di vento, nè un cinguettio d'uccello, pare sia tempo di siesta. Ma c'è anche la sensazione che la stagione stia volgendo verso lo stantio inverno. Piccoli segnali come i frutti dei carpini che si bruniscono o qualche foglia che si tinge di giallo. Sono "vibrazioni" che percepisci frequentando da sempre la natura, incomprensibili ma avvertiti. La chiesetta e le rocce d'attorno si godono appieno il calore del sole, guardando il gradevole panorama verso la piana feltrina ed i monti che si ergono a meridione. Spingo il vetusto portale d'ingresso consunto dal tempo. All'interno sacro e profano si trovano in simbiosi. Da un lato due banchi di riflessione per i fedeli, di fronte oltre la cancellata l'altare con la pala raffigurante la Madonna con bambino accompagnata da san mauro e dall'arcangelo Michele con demonio al guinzaglio. Dall'altro lato, contro il muro, due tavoli pronti per un'eventuale incontro conviviale, sotto essi oggetti che di religiosità esprimono ben poco, un secchio con cemento, del colore, attrezzatura da ferramenta, badile e rastrello. Mi soffermo a leggere il quaderno dove i viandanti esprimono loro riflessioni. Forse lassù qualche addetto dovrebbe leggerlo...il santo mauro qui in terra è...considerato.

sabato 23 luglio 2011

PIZZOCCO, ANZI PIZOC!


Giornata strepitosa con un cielo blu ed aria tersa. La luce illumina così intensamente da esaltare le montagne. Ho il Pizzocco di fronte, solitario sembra l'ombelico del mondo. Ufficialmente vi è salito per primo il barone von Zach dell'esercito asburgico alla fine del 1700 per rilievi topografici. Balle!! Chissà quanti saranno saliti prima di lui. Ma si sa verba volant et scripta manent...Dell'ascesa del generale fu messo nero su bianco, di probabili valliggiani le gesta orali si sono perse neglio orripilanti baratri d'intorno portate via dai venti. Ma lo immagino l'asburgico stufo di beghe confinarie e di continue interpellanze di avvocati e di redimere contese; un giorno sul far dell'alba abbia preso un manipolo di militi e qualche scout indigeno, caricati come bestie da soma con strumentazione cartografica e si sia diretto alla cima del monte a delimitare parcelle agrarie una volta per tutte. Decido di salire a metà del dì quando diverse nubi bianche hanno cominciato a tinteggiare la tela blu. S'aggirano lente anch'esse a mappare la cintura montana. Parto dall'area di sosta, su oltre il paese di Roer. Davanti continua diritta una larga carareccia che porta al rifugio Ere, ma è più posto per bagordi enogastronomici e...vinassa vinassa fiaschi de vin... A destra invece, schivo tra il folto della vegetazione, parte il sentiero che si fa subito ripido. Lo aggredisco d'impeto, ho voglia di liberarmi dallo stress del mitico nord est, la regione che si pavoneggia come la locomotiva economica dell'Italia, più simile alla produttività teutonica che alla sgangherata macchina manufatturiera italica. Che in questi anni s'è drogata di yuppismo arrivista fin de siècle andando avanti vorticosamente alla cieca. Qualche furbo e cinico talmente veloce s'è fatto la fuoriserie per poi andare a sbattere contro un platano o cadere con qualche aviogetto imbullonato come un meccano e la massa s'è svenata di fatica per poi far la fila coi danari dentro ad una banca o ad un supermercato...Fanculo operoso nord est! Ti porto io a sferragliare su questi ruvidi sentieri ed a smaltire le panze troppo imbottite di ingordigie. Mentre ascendo verso l'alto tra le fronde del bosco, alzato lo sguardo vedo che il tempo dà di mano col pennello. Colora di grigi le nuvole dai toni grigio piombo, al fumo di londra a tracce di nero seppia. Dopo aver superato lesto l'andirivieni arrivo alla forcella Intrigos, che svela al di là la spaventevole Val Falcina che sembra chiamare a sè abissi e precipizi. A lato poi si erge la poderosa parete del nostro: ottocento metri di piombo da muratore, sbiancata da un recente crollo. Continuo sospinto da una fresca brezza a ridosso della parete rocciosa tra ghiaini ed arditi passaggi. Poi riemergo in alto su pendii verdi infiorati. Giù la valle operosa sembra silente, ferma. Si va verso il Pizzocchetto. La fantasia dei nomi qui è stata piuttosto deludente; oltre a Piz, Pizzocco, Pizzocchetto, Pizoc non si va... In cielo intanto s'è formata una linea di demarcazione che gira l'orizzonte. Sotto ci regala ampi panorami, sopra si arreda di cupi tendaggi. Superato l' "arditezza" di una cengia esposta dietro il monolite, rimane l'ultimo tratto. Ricordo bene l'ultima volta che l'ho fatto, una fatica bestia, da credere la cima un miraggio, ma mi stavo sparando in sequenza questo monte ed il dirimpettaio Tre Pietre. Oggi invece zompo tra le roccette ed i baranci agile similcamoscio. In fondo questa montagna ha il vantaggio di essere salita agevolmente senza uso di canapa, nylon o tintinnante ferraglia messneriana. Arrivo in cima in simultanea con le nebbie che ascendono a raffica dalla profonda Valscura. Mi soffermo, guardo giù. Penso che chi giunge quassù si senta davvero, per qualche decina di minuti, padrone del mondo. Le nebbie si muovono frenetiche trascinate dalle fole. Scendo anche se sento che una parte di me vorrebbe restare lassù ancora. Strano monte il Pizzocco, ha mille volti è un trasformista. Se lo guardi da occidente sembra un arrotondato pacioso colle roccioso , da oriente un dente aguzzo su una rampa di lancio, a settentrione si sdoppia in due torri gemelle. Anche questo è nord est.

lunedì 18 luglio 2011

TOUJOUR LE FORZELON


Lo sapevo che prima o poi ci sarei ricascato, anche se ho spergiurato che non lo avrei mai più fatto in salita. Lo avevo sfidato sotto un solleone agostano nel momento massimo della calura, con il sole che picchiava come un boxeur dopo avermi messo all'angolo, un sole psicopatico. Questo è un sentiero tosto, duro, carogna, presuntuoso, arrogante, va per le spicce, è un padre padrone, nulla ti perdona, di sicuro non ti coccola, se ti fermi si spazientisce, ti considera men che niente. L'unica cosa che puoi fare è domarlo. Dal ponte sul Colmeda, le cui acque scorrono con alto chiacchiericio alzo lo sguardo, sta lassù il despota 1150 metri più in alto, seminascosto dalle nebbie vaganti. E' un'ampia sella che migliaia di anni fa vomitava gli umori dei ghiacciai. La mattinata è umida sa di sapore settembrino. Il silenzio della valle è rotto da poderose martellate e da sfrigolii di lamiere provenienti da una casera nascosta fra la folta vegetazione. Un capriolo, inveisce con voce sgraziata; sarebbe da consigliarli una logopedista. Un greto ghiaioso bianco da l'idea di lavorar più di qualità che di quantità. Le alte erbe, che raccolgono tutte le linfe della notte sono ubriache di guazza. M'imbombo le scarpe e le gambe. Ciclamini deliziano il bosco. Sotto i covoli, dove i nostri avi antelucani si riparavano pascolando gli armenti, gorgoglia un rivolo d'acqua. Più su un bivio, si prende a sinistra, in piano. Saranno gli unici dieci metri di piano! Mi si para davanti un muro invalicabile di nebbie e di oscura selva. Un file recondito apre una finestra e mi avverte laconico che inizia la salita. (Perchè finora cos'era...) Voila le Mùr!! Se chiedi ad un escursionista di accompagarti ti dirà che in estate preferisce andare sulle Dolomiti ed in inverno...che c'è la neve...Il sentiero sale scaltro a zig zag, ringalluzzito da giovanili energie. A mezza via il sole fora le nubi come per un beffardo avvertimento. Fra le radici di un grosso abete nemmeno il viottolo sa dove andare, s'inpenna, si verticalizza. Passo vicino ad un formicaio enorme, un cocuzzolo pieno di frenesia; tutto un via andare di nere formiche. Usciti dalla faggeta, si fa trasversalmente una cengia, anche il sentiero ha bisogno di rifiatare. Ma come arriviamo sul bordo del costone si riprenderà, data la pendenza, a mo di scalinatà. Nella brezza che fa tremolare le foglie e movimentare le nebbie, risalgo l'erto crinale stretto, i pendii traboccanti di variopinte fioriture precipitano ripidissimi. Esco su un belvedere riesco a vedere un mugo arpionato alla roccia, poi intuisco un costone più in basso e poi il nulla. Ci mancano gli scheletrici alberi secchi sgusciare dalle dense foschie, per rendere macabro e angoscioso il proseguio. Il sentiero continua imperterrito per balze, cenge, scalinate su roccia e su erbe viscide. Traversa pendii instabili, poi rifugge su canali franosi fra minacciose pareti. Alla fine ti prende per sfinimento e lo segui arrendevolmente. La fitta bruma ti fa intravedere ombre che non riesci ben a decifrare. Poi quando ormai disperi ti trovi a varcare l'agognata sella. Ed il sole coaudiuvato dal vento Matteo di buzzattiana memoria, scrolla la nuvolaglia e se ne esce strafottente. Me ne ritorno scendendo lungo un fiume di fiori dal color lilla per un altro tragitto, ma questa è un'altra storia, un altro racconto.

sabato 16 luglio 2011

ALTA VIA DEL GRANITO (2^ parte)


Mentre lasciavo le nari farsi accarezzare dalla fragranza del caffè il rifugio si è animato dall' arrivo di un gruppo di alpinisti. Lascio la compagnia dopo una sosta appagante di una ventina di minuti. Scendo verso il corso d'acqua e superato un rustico ponticello mi fermo per un "lauto" pasto...due fette di pan carrè con sottilette. Alla fine sarà l'unica cosa che mangerò durante il tragitto. Si punta risalendo il bosco di conifere alla volta delle Buse Tedesche. Ritrovo subito il giusto ritmo che rapido mi fa guadagnar quota. Giungerò risalito una valle boscata in " terribil loco" che reca un nome che è un programma: i Laghi dell' Inferno. Quella conca dove si mescolano in un amplesso massi, arbusti, acque che sa di averno dantesco il tempo sembra fermo. Le acque dal fondale scuro e pietroso ti attirano come un magnete...meglio ricercar una diritta via! Ascendo verso una sovrastante baita dove incappo in un gruppo che risale stancamente a mo' di serpentone. La combriccola é guidata da Fabrizio Bellucci di Zainoinspallache fa da capobranco. Sono sulle loro tracce dalla partenza. Raggiutili mi lascio andare ad un "dottor bellucci I suppose". Ci fermiamo un po' più in alto dove la salita si fa meno erta. Con un po' di sceneggiata consegno la fotocamera allo sbadato escursionista, faccio un tratto di strada assieme e poi nell'apertura dei mondi alpestri delle buse tedesche saluto l'andamento lento del gruppo vacanze zainoinspalla. Cammino sull'ennesimo tracciato militare. Mi vien da pensare che la prima guerra è durata tanto perche si son fatte strade ovunque e che le battaglie venissero combattute nelle pause di lavoro. Rododendri dappertutto. Lo sguardo non è mai sazio di panorami, di scorci, di particolari. Si va veloci, il procedere non è difficoltoso in quota, pochi i dislivelli. Un tratto di ghiaione, un ultimo sguardo alle conche ampie delle buse todesche roccaforti austriache e scollino nelle rocce metamorfiche alla forcella delle Buse todesche. La viabilità si rafforza con bordatura a valle e massicciata di muri a secco a monte. Intanto si apre un'altra valle, altri panorami e svoltato l'angolo il Cima d'Asta si sublima nella sua possanza. Un lungo passeggio a fil di cima tra ghiaioni pietrosi e rododendri. Il monte che supero è bifronte, da un versante fatto di rocce metamorfiche, dall'altro granitiche, come se un uomo fosse mezzo bianco e mezzo nero. Comincio ad incontrar sempre più escursionisti, sono lontane le solitudini del primo mattino. Scendo verso oriente calamitato da uno specchio blu che diventa oggetto del desiderio. Entro in un'antro della roccia, postazione militare, per guardare lo spicchio di visuale con occhi diverso. Mi ritrovo al bordo del lago, a forma di cuore. Leggere increspature lo rendono vivo, le nuvole che si specchiano ballano. Poco sotto ...forcella Magna...difatti ci sono avventori con luculliani panini in mano nel crocicchio incontro di sentieri. La mia freccia mi indicata che la mia via sale su...(le altre indicavano vie più allettanti!). Va beh. Risalgo su una strisciolina di sentiero a zig zag sul costone nudo. Pervengo ad un bivio, entrambe le vie mi portano alla successiva meta. Chiedo informazioni a tre personaggi che arrivano, se proseguire per la ferrata. Sono inglesi. Io parlo poco più di un acca d'inglese, loro un italiano da penisola britannica. Mi attardo un po' nel prendere una decisione, poi li seguo. Li riprendo e mi lasciano passare su un tratto ferrato. Il sentiero diventa via per capre tra rocce e ghiaioni. In senso inverso scendono delle persone ed una signora chiede se per caso ho visto un cellulare che perduto cercava disperatamente...E chi sono io il cercatore di oggetti perduti?... Continuo con fatica su brecciame appuntito, sento uno strano soffio, guardo; è una vipera in fase difensiva. Resto immobile. Va lei o vado io...Va lei, risoffiando striscia sotto le pietre. Poi davanti a me uno strapiombo di roccia. Lo si deve superare salendo su pioli di ferro. La stanchezza comincia a farsi sentire, risalgo gli artificiali appigli con estrema cautela e come esco sul soprastante crinale ne ho sollievo. Altra sosta sento le forze al lumicino, provo a mangiare. Con fatica ingollo mezza pastina. Arrivano gli inglesi. Ci facciamo un gran discorso. Ad ogni parola vedo la mente che va a sfogliare il dizionario ed i libri di testo, così fan loro avvantaggiati dal fatto di essere in tre. Alla fine li guardo e sorridendo sbotto in una surreale commento -my english is wanderful!!!- oh yes loro di rimando, mentre ripartono. Sosto ancora un po'. Riprendo ma con fatica, mi fermo più volte, quindi su ancora su "simpri su". Oddio quanto manca a veder la fine de 'sta salita. Poco manca poco, i miei nuovi amici sono là seduti che si sbaffano una birra con british eleganza. Un gesto di offerta , alzo la mano come di ringraziamento, saluto sempre in mimica e mi precipito lungo il pendio a peso morto. Intanto la poderosa parete della Cima d'Asta si svela nella sua essenza, sotto il lago blu intenso ne fa da specchio narciso. Veli leggeri di nuvole vanno e vengono si trasformano in pennacchi che salgono, in corpose nubi che scorrono, in fumaioli ballerini, scompaiono, nascondono la cima, la esaltano. C'è un via vai al rifugio Brentari di escursionisti, dall'interno escono note di un coro di montagna, chi in piedi si gode il panorama, chi seduto si abbuffa in un panino. Bevo ingordo dalla bottiglia di te, poi riprendo il cammino stavolta verso la fine del viaggio. Seguo una linea dritta lungo le placche lisce di granito senza degnare il reale tracciato. Scendo sicuro e quando la pendenza si fa più cosistente adeguo il corpo ad una posizione baricentrale...più da seduta. Corricchio nella parte bassa attento alle pietre taglienti come pugnali se scivolo sono infilzato da quelle lame litiche. Poi il bosco di larici ed una strada forestale mi riporta alla base di partenza. Totale circa 10 ore di viaggio fra le meraviglie dei lagorai. Due fette di pan carrè con sottiletta, una mezza pastina e un litro di tè il mio sostentamento.

venerdì 15 luglio 2011

ALTA VIA DEL GRANITO (1^ parte)


Men vo' che è ancora notte fonda. Sfilo via veloce fra le rotatorie infiorate del centro cittadino illuminate dalle "lampare". Un gatto attraversa la strada come un razzo rigorosamente sulle strisce pedonali. Incrocio qualche auto che sta ritornando a casa forse da una notte brava. M'imbuco, poi, nell'oscurità nella valle della Senaiga da cui compaiono dalle tristi brume del fondovalle le solitarie case di Chioè, su strada d'asfalto che sa d'antan, di buche e di curve strozzate. Poi si varca in Trentino s'allargano le corsie, s'allarga la valle, il paese di Roe dorme placidamente, allegro. La strada cammina alta, a destra s'indovina la valle che sprofonda, s'inabissa oltre la vista verso le viscere della terra. A Castel Tesino un semaforo rosso t'induce a fermarti, sembra dirti di non disturbare l'ultimo sonno dei dormienti. I lavori stradali rimandano verso vicoli stretti nel cuore del vecchio centro montano. In un incrocio indugio nel proseguire, compare come da copione un' auto (posto giusto al momento giusto), il manovratore mi toglie dai dubbi e son libero da proseguire spedito fino all'agognata malga sorgazza da dove "calzato" lo zaino varchèrò nel mondo silente dei Lagorai.Mi fermo un attimo sulla strada dove m'informo su un paletto segnaletico, m'indica senza tante parole la via. Guardo nella direzione da prendere, chiudo gli occhi, m'inebrio in un respiro profondo...parto, si va, ce ne sarà da..."pedalare". Un gallo canta, manco fosse un tifoso che m'incita.Una lieve luminosità fa da preludio al nuovo giorno. Prima di infilarmi nel bosco scorro in alto con lo sguardo verso il cielo; piccole stelle brillano insieme a nubi scure minacciose. La vista corre verso la massa scura del Cima d'Asta, una formazione mefistofelica la tiene segregata. Il sentiero è curato da poco, falciate le erbacce e tagliati i rami bassi degli alberi, cammino d'istinto nella flebile luce che sale. Proseguendo m'accorgo che è una massicciata ben disposta probabilmente un'opera militare. Ne trova conferma più in alto quando chiari manufatti escono dalla vegetazione, paletti di cemento fanno da paracarri e postazioni artificiali si svelano con didascalie. Vengono chiamate finestre e puntano lo sguardo truce verso i costoni orientali da dove una luce aranciata rivela l'aurora. Sobbalzo ad un improvviso verso che riempie l'ombra. Un rumore scende verso il bosco, poi abbai ripetuti di un capriolo, gli faccio eco, riprende con ulteriori abbai sgraziati. Il suo fare è insofferente, nemmeno l'avessi svegliato nella fase rem. Intanto esco dalla vegetazione e s'allargano ampi spazi. Il colore più intenso lontano ad est indovina dove si leverà il sole, il cielo s'incendia di rosso. La luce s'infrange nella bruma e ne rimanda un velo soffuso. Sembra di trovarsi in un quadro da trompe l'oil. Leggere nuvole rosate vagano fra le cime di Costa Brunella baciate da primi raggi. Intanto in alto la bianca diga si para come una forma d'arte contemporanea. Ci arrivo con il sole in fronte. Mi soffermo a guardare in basso il lago artificiale in cui si specchiano i monti sovrastanti. Le acque ancora scure aspettano pazienti che il sole si tuffi. D'intorno l'esplosione delle fioriture di rododendri, i massi granitici, il verde dei pendii, in una simbiosi naturale t'incantano come in un mirabile giardino. poi le rocce squadrate, le gulie le cime che sembrano lavorate da una mannaia, i grossi blocchi, le mille pietre rimandano a scene cinematografiche apocalittiche. In uno degli infiniti laghetti lo sfregare dei raggi appare come lo sfavillio d ipulviscolo dorato sparso dagli elfi prima di svanire nel nuovo giorno. Un sibilo lacera i silenzi d'alta quota. Una marmotta ritta zulle zampe averte dell'intruso. Di tanto in tanto con la coda dell'occhio vado alla Cima d'Asta. La mefistofelica persiste, poi come d'incanto mollerà l'ormeggio. Arrivo col giorno fatto a Forcella Quarazza. Al di là un'altra valle. Sa di silenzi, di spazi estesi. C'è una magia sospesa, rassicurante, lenta. Proseguo alto sulla valle. Mi giro ed in controluce la corona svela immagine fatate di manieri in rovina. Abitazione in castelli magici che rimandano e intrappolano la mente a fiabe incantate. La luce che filtra evapora, il sole s'incunea in una fessura e ne sboccia come un diadema. Poi un'altro passaggio in quota: il forzelon di Rava. Dal basso salgono belati. In alto una ridda di creste che sforano il cielo. Sto attento alla via giusta, un reticolo di sentieri ti porta all'errore. A meridione la scarpata asiaghese si perde nella velatura delle nebbie. Respiro la solitudine del luogo. Giù, sotto rocce poderose, dorme placido nelle ombre un lago. Si riflettono nel blu le rocce e si muovono nella brezza come in un tremolio. C'è una spiaggia di casta sabbia. Nessun bagnante ha il coraggio di sdraiarsi qui. Il tempo ha perso il suo valore; mi ritrovo alla forcella Ravetta. Una croce monca,
storta, consunta dal tempo rimanda a lutti lontani nel tempo. Intanto a settentrione fa mostra di sè la lunga catena dei Lagorai, dalle rocce brune e dai dolci pendii verdeggianti. Calo lungo la discesa ghiaiata verso il rifugio Caldenave, supero una lingua di neve, poi scorro in un bosco di larici, a lato di un torrentello che via via si fa più bandalzoso fino a gettarsi nella piana verde e proseguire in un sussurro lungo un meandro. Cavalli pascolano nell'aria riflessa dai raggi. Trovo una fotocamera smarrita da un improvvido escursionista. Mi fermo al rifugio per un caffe ristoratore.

mercoledì 29 giugno 2011

PIAZZA DEL DIAVOLO

Fra le nebbie che adipose riempiono la vallata, s'indovina un cielo sereno. Ma qualche gretta nuvola vaga intenzionata a reperire un comodo giaciglio su cui appollaiarsi. Ed allora sognarsele viste su panorami da cartolina. Esperienza m'insegna ch'è meglio cambiar meta. Salgo così verso il rifugio Dal Piaz. Luogo anch'esso propenso a calamitare nuvolaglie varie. Ma almeno ho la possibilità di scegliere un itinerario per camminare, visto che ce ne sono a iosa. M'inerpico velocemente lungo il sentiero lasciando scorrere i pensieri. Gli occhi s'impegnano a scrutare su verso le vette baciate dai raggi del sole o giù verso valle dove le nebbie come panna montata stanno ancora stazionando. Al rifugio Anna è indaffarata ai tavoli ad apparecchiare per un nutrito gruppo di aitanti atleti che arriveranno cavalcando biciclette. Il tempo di un caffè e riparto verso la Busa delle vette. Dal crinale scende con andatura meditata una figura che mi par familiare, poi quando ne intravedo la bianca capigliatura tutti i dubbi sfumano. E' Giancarlo che al passo manco s'arresta e risale lungo il crinale opposto. Lo seguo su fin al Col Cesta dove finalmente si regala un momento di pausa. Grigie nebbie intanto rimontano lungo i canaloni tanto da celare l'orizzonte. Ci salutiamo ed imbecco la via che volge ad oriente verso Pietena. Fra gli alpeggi stanno esplodendo le fioriture che fanno imbaldanzire i botanici per la ricca varietà e per la bellezza.E davvero i verdi declivi sembrano innevati di bianchi narcisi od indorati di ranuncoli, di botton d'oro,di ginestrini. Inoltre sanguinei rododendri stanno sbocciando, soldanelle tremano nella brezza, genziane e genzianelle sembrano riflettere l'intensità blu del cielo, petali di gigli paion aver strappato pezzi di purpureo tramonto. Sono tanti tantissimi, dipingono i bianchi rudi ghiaioni, riempiono il sentiero che ti vien di non procedere per il timore di pestarli. Avanzo, oltrepasso il passo Pietena, proseguo quando la nebbia risale lenta. Con tentacoli di piovra va ad annusare gli anfratti, poi sospinta da poderose folate va a gettarsi oltre le creste, oppure va a stazionare nelle conche. Poi svanisce all'improvviso. Cammino ora là ove alligna il maligno, la Piazza del Diavolo!! Un cerchio magico di verde prato circondato d'attorno di massi. Là il demone scacciato dalle valli sottostante in preda ad un'ira luciferina, con una pedata aveva disintegrato un'intera montagna e tutti la roccia s'era disfatta in una miriade di pietre che s'erano fermate a cerchio. Tenendosi a distanza dal demonio avevano formato questo tondo. Ma qui le paure , le angosce, le immaginazioni religiose che s'erano strascicate dopo il Concilio cinquecentesco di Trento vi aveva dato dimora a streghe e fattucchiere, luogo di saghe ed orge, posto dove regnava sovrano il maligno, sito per gatti neri,corvi,civette...luogo che al solo pensiero ci si faceva il segno della croce, si recitava il rosario come andidoto qualora la malaugurata sorte avesse voluto farvi trovare nei paraggi. Immerso in questi pensieri mi accorgo di essere fuori dal sentiero, ed a vagare fra i massi con la nebbia fittissima. Non ho modo di orientarmi. Mi sposto d'istinto. Un po' rido, un po' mi angoscia la situazione in cui mi sono cacciato...Il vento sibila strano, sembrano voci lontane...Poi dell'erba verde, la nebbia svanisce d'incanto, un cuculo canta...Tiè!! Sono nel mezzo del cerchio, mi guardo intorno e penso che ...è meglio andare. Ritorno verso il rifugio, le nuvole e la nebbia ormai hanno preso il sopravvento sul sereno del cielo, anche la temperatura si è un po' abbassata e la maglietta bomba di sudore dà fastidio. Col passare del tempo la nebbia s'infittisce ancora tanto che la sagoma del rifugio riesco a vederla quando sto per sbatterci il naso. I ciclisti stanno facendo gli ultimi preparativi per la discesa. Ho la sventurata beota idea di lanciar loro la sfida a chi arriva per primi al passo di Croce d'Aune che sta 950 m sotto di dislivello. Accettata. Si parte, io naturalmente mi lancio lungo il sentiero,loro per la carareccia. Correndo mi sento risucchiato dai pendii, mi volto poco dopo, la nebbia non mi dà modo di vedere, ma sento stridii di freni. Tratti di strada , di sentiero, di tracciato su punzute roccette, poi bosco, fitto,radure, ancora bosco e strada sterrata e sono giù. Il sudore cola dappertutto, il fiatone si assesta, mi appoggio all'auto per un attimo di riposo. Trascorre il tempo, mi chiedo se sono già passati, aspetto, i primi passeranno veloci facendo cantare il ghiaino dopo circa 10 minuti....Evvvaaiiii!!!!!

mercoledì 6 aprile 2011

COL DE LA TOR


Quando ho sentito questo toponimo mi sono incuriosito. Questo tipo di nomi in genere venivano date a formazioni naturali (tipo rocce) cche rimandavano col pensiero a costruzioni difensive oppure a qualche sito che avesse a che fare con scopi "militari". Il luogo comunque desta interesse in quanto è un piccolo avancorpo del lungo costone delle Cicognere che scende ad occidente verso la sottostante Val Canzoi. A vederlo da lontano si nota appena, entrando in valle invece denota una propria "personalità". Nella scarsa e lacunosa documentazione s iparla di un antico fortilizio posto su un impervio cocuzzolo di cui rimangono lacere murature. Reperti trovati: due monete romane, vari frammenti di oggetti di terracotta e vetro e di una tomba ad inumazione di cui rimane la lastra di copertura. Val la pena di salire e cercare di capire l'importanza del luogo. La zona la conosco bene poichè nel corso degli anni ho percorso varie volte le due valli che il costone fa da divisione, ovvero la val Fosserla a nord e la val Caselle/Laste a mezzogiorno, cercando di conoscere tutto il reticolo di sentieri che ci sono. Lasciata l'auto nella strada forestale che si spinge oltre Cullogne, mi invio lungo il sentiero dell'anello della Val canzoi. Sbaglio, avrei dovuto salirepiù in quota. Non importa, proseguo fino ad aggirare il nostro crinale ed una volta raggiunta la Val Fosserla m'inerpico lungo un canalone finchè raggiungo il viottolo superiore, rientro nell'altra valle e finalmente mi ritrovo nella "diritta via". Salgo nel bosco fitto dove un piccolo branco di mufloni mi segue con sospetto. Raggiungo un casera e poi su tracce mi affanno a congiungermi col sentiero ripido che mi porta verso la meta. La raggiugo alfine e mi trovo su un piccolo esiguo crinale che si protende in avanti rompendo la linearità del costone separandolo mediante una sella. Sotto ripidi affioramenti rocciosi fanno da base. Beh il fortilizio deve aver avuto delle dimensioni assai ridotte... probabilmente si trattava di un piccolo manufatto in muratura e legno che serviva da riparo alle vedette. Si scorgono pochi resti murari e la fossa della probabile tomba. Il luogo invece probabilmente serviva da triangolazione visiva tra il passo Finestra da cui si accede al Primiero; un tempo confine tra mondo germanico ed italico e la vallata bellunese, oltre che a controllare a volo d'aquila la sottostante val Canzoi. Con probabilità qui passava anche un tracciato che metteva in comunicazione il paese di Cesiomaggiore con l'interno della valle, sentieri che pian piano stanno scomparendo per l'abbandono. Purtroppo testimonianze che perse fanno dimenticare un tempo ed un mondo vissuto.

giovedì 10 febbraio 2011

PRIMI SALITORI DELLE VETTE FELTRINE "ZANICHELLI"


Noi contemporanei siamo assillati dall'essere il primo... il primo uomo ad arrivare sulla luna, il primo a conquistare una vetta, il primo a correre sotto una fatidica soglia di misura del tempo, il primo ad inventare una formula il primo di... e così di seguito. A qualcuno si attibuisce di essere stato colui che prima di ogni altro abbia raggiunto un obbiettivo, ma in seguito si scopre che qualcuno ci sia arrivato prima di lui. Chissà quante saranno queste circostanze. Sarebbe giusto dire che è soltanto un'isteria dei nostri tempi. Ma stando al gioco e cercando di dare un volto a chi possa essere colui che per primo ha camminato sui monti feltrine, si potrebbe azzardare che fu un cacciatore a seguito di spostamenti delle sue prede. Poi nei tempi seguiranno pastori,raccoglitori, e via via " prototipi" di migranti ante litteram, contrabbandieri, genti che sfuggivano alle guerre, delinquenti, persone senza volto, di cui la storia mai ne farà menzione. Nessun scritto, nessun documento ne produrrà uno straccio di nota per le genti a venire. Finchè qualcuno non lascerà qualche annotazione. Fu così che i "primi" ad essere considerati tali divennero i botanici come Antonio Tita a cavallo fra il 1600 e 1700 che fu direttore dell'Orto Botanico dell'Università di Padova. Oppure di Gian Girolamo Zannichelli che ascese alle vette nel 1742 e riportò a valle 135 esemplari di vegetali. Lasciò anche una curiosa descrizione di quella esperienza. (tratto da P A Saccaro e G B Traverso il La flora delle Vette di Feltre, Venezia, 1905)...."rivassimo a Pedavena ove la notte dormissimo in un piccolo stanciolino terreno, ma netto da sporchezzi, il nome del padron era Carlo...il martedi mattina li 11 di buon hora partissimo da Pedavena, e avanti pranso arrivassimo a Aun villa a piè della Montagna, delle Vette ove disnassimo con quel poco di presciuto formag. vino e pane passabile...doppo d'haver caminato molto si trovassimo in luoco difficilissimo, e scoperto, agrediti da un temporale che uscì da quelle Valli Tedesche che ne pose tuti in aprensione, mentre cominciò una tempesta minuta, e un vento forte che minaciava la volata in quei oridi precipitij...salissimo dunque al estrema punta della Valle ove in facia vi è quel altra estremità che si chiama il Paveion, altezza molto grande, ove fui di mat.na per scoprir Venetia, che vidi molto bene con un canochiale che havevo meco...discessimo per lunghissimo camino fino ad Aun strachi, e pattiti...cenassimo, e andassimo a dormire: io dormij sopra una cassa vestito con li libri sotto il capo...ma non podei dormire per il grand.mo strepito che facevano quelli che venivano al Osteria e dopo cinque hore che tutto era quieto saltorno fuori tanti sorzi che mi venivano fino sul capo...questo fu quello che viddimo e sentimo in questo breve viaggio con molta fatica e spesa. Che sia lodato il Sig.e de Signori. Amen."

1 GENNAIO 2011


E' un luogo comune dire che " chi fa una cosa il primo dell'anno la fa tutto l'anno". Non sono supestizioso, ma se in fondo ci fosse un briciolo di verita...tant'è...facciamoci guidare da sifatte sirene oracolari. Complice una bella e soleggiata giornata...se il buongiorno si vede dal mattino...(tanto per rimanere in tema), salgo in cima al Pafagai. L'avancorpo che si distacca dalle vette e scende a meridione a lambire la piana feltrina è un eccezionale belvedere. Dalla valle di Lamen lungo una strada forestale prima e per sentiero nell'ultimo tratto, con una sgambata di circa trecento metri di dislivello condensati in poche decine di minuti, ci dà modo di osservare con poco sforzo ampi spazi. In questo crinale che fa da spartiacque tra la valle di Vignui e quella di Lamen, si ha la possibilità di spaziare visivamente alle retrostanti vette feltrine con le balze scoscese al vicino San Mauro, a scorrere a meridione le prealpi venete dal Grappa al Visentin e più lontano ai monti dell'alpago e dalla parte opposta ai monti asiaghesi. Tutto ciò racchiude come in uno scrigno la vallata feltrino- bellunese attraversata dal Piave. La posizione a volte esalta anche cime che sembrano insignificanti.