tramonto

mercoledì 16 novembre 2011

OLTRE 7000 m. DI DISLIVELLO ( 1^ PARTE)


Notte profonda scivolata via lenta senza portare sonno. Raggruppo poche cose nello zaino, mi gusto un caffè e via in sella della bici verso un sogno da concretizzare. Era da tempo che lo tenevo per me. Percorrere in sequenza i sentieri delle vette, salendo e risalendo più volte la scarpata oceanica. Alla prima salita gambe e testa all'unisono saltano giù dal ferrovecchio rosso, la bici non fa per loro. Risalgo l'erta verso Vignui spingendo a forza di braccia, mentre ad oriente la sottile striscia arancio pittura l'orizzonte. Nel risveglio del bosco si sfidano in melodiche tenzoni gorgheggi e canti, merli, usignoli, fringuelli, pettirossi in un crescendo musicale, amplificato da questo auditorium naturale. Oltrepasso il paese che dorme come fola di vento e mi involo verso la valle di San Martino. Appoggio nel retro della chiesetta il mezzo. In alto le cime riflettono le prime luci del nuovo giorno. Cerco un momento di concentrazione, come dovessi chiamare a rapporto tutte le forze per un ultimo controllo. Parto. Mi aspetta una prima salita di circa 1400 metri, su in alto fino in Ramezza. Mentre percorro lo sterrato disturbando il silenzio con i miei passi sul ghiaino, il sole pennella le cime di luce viva, passando di rupe in rupe, prima di scendere lento inondando i declivi. Il verde del fitto bosco, i colori dei fiori contrastano con l'azzurro del cielo. Salgo lentamente cercando di non disperdere le forze. In breve sono all'uscio di casera Ramezza Alta, davanti a me l'ampia forcella di Scarnia sembra aprirsi a ricevere il sorgere del sole. In controluce tutto diventa ombra nera d'attesa. I prati d'alpeggio sono pregni di guazza, le gocciole brillano. Salgo incontro al sole, dapprima strisciandone accanto poi frontandoci viso a viso là sulla forcella, luogo d'incontro di viandanti. Grappoli di gialli maggiogiondoli stesi a regalarsi la carezza di una calda brezza. Il cammino mi porta verso le mughete ed i contrafforti del Sasso Scarnia che qui si fanno idilliache figure fantastiche di guglie e torri. Una nube piroetta su esse in giochi infantili. Continuo a salire e le piante lasciano il terreno a esili prati, le rocce lasciano terreno a ghiaioni. Mi sento sempre più a contatto con il cielo. Ombre lasciate come scia dalle nubi che vanno aumentando e rubando pezzi di cielo. Raggiungo i circhi di Ramezza e via verso Pietena oltre piazza del Diavolo. Mi sento librare. Lo sguardo scorre agli ampi panorami che l'altezza regala. Altre volte si sofferma sul rosso di tappeti di rododendri, al biancore delle vertiginose rupi. E via verso un'altra meta intermedia e con lo sguardo scorrere ai luoghi che andrò a ritrovare più avanti durante il cammino. Prima del Passo Pietena scendo verso la conca passando, tra gialli botton d'oro, tra i pochi resti della Casera Pietena che resistono all'oblio del tempo. Ancora giù a Pietenetta, memoria di partigiani ed inglesi durante l'ultimo conflitto, e poi mi lascio trasportare in corsa dal zigzagante sentiero che s'incanala fra rudi e severi pareti grige, fino a scomparire nel fitto e finire tra i fatati abeti del Piano dei Violini. Qui indugiare un po' cogliendo l'occasione per rifiatare e ripartire verso altre altezze. Bosco fitto, ora. Pian piano le spavalderie della discesa, sono sopraffatte dalle fatiche dell'ascesa. Passi lenti, il sudore che cola lungo le gote, il respiro che si fa via via più affannoso. La salita che sembra via via interminabile. Le forze che si affievoliscono. Mi sento svenire, mi appoggio ad un provvidenziale costone roccioso. Mi siedo con gli occhi chiusi, sembra che tutto debba finire qui. Li riapro dopo pochi istanti che sembrano essere stati eterni, un cuscino di delicati fiori lievemente rosati sembrano messi per confortarmi. Riprendo forze, riparto. Su comincio a vedere di nuovo spazi che si allargano, prati d'alta quota. Nuvole che vagano e che si accalcano sulle cime. Un ultimo sforzo, arrivo al Forzelon...a metà della "scampagnata".

sabato 5 novembre 2011

PAVIONE


Ahi le dolenti note! Le gambe reduci da una gara di nordic stamattina si sarebbero volentieri girate nel letto dall'altro lato, ma la mente invece vola e giocoforza sono costrette a seguire...il capo. Le tante auto parcheggiate lungo la via di Croce d'Aune dicono che oggi s'incontrerà parecchia gente in quota. Nel primo varco del bosco l'abbaglio del sole è sparato negli occhi come un riflettore da terzo grado. Sui declivi si distende placido sui tono rossobruni di fine stagione e ne amplifica il volgere al desìo. Sulle rocce s'infrange di luce intensa proiettandone ombre scure, mostrando una lunga scia ininterrotta di chiaroscuri. Risalendo il sentiero è una mescola di colori, rosso mattone dei faggi, giallo di aceri e larici che si cambiano d'abito, verde intenso di abeti che si spingono il più in alto sui declivi a rincorrere il cielo. E poi quello quadrettato di nostalgiche flanelle anni settanta, a variopinte felpe, a tecnolociche moderne giacchette. In cielo lenti si spostano cirri arabescati. Poi quando i panorami si svelano nella loro intierezza, un grande mare bianco cela tutta la valle. I monti in penombra sembrano isole galleggianti, tagli scuri onde da cavalcare, altre s'infrangono sulle rupi di scogliera, l'astro irrora le nebbie. Supero parecchi escursionisti, supero anche il rifugio Dal Piaz e dirigo la barra verso le alte creste baciate di sole. I giochi d'ombra nella Busa delle Vette metteno in risalto le doline che assomigliano a testimonianze di bombardamenti naturali. Un lago fa da specchio al monte vanesio che s'affoga riflesso. Sulle creste un gruppo risale lentamente la china, lunga processionaria. Li raggiungo, li supero mentre discutono sulla grandezza del creato. Nell'ultimo tratto sento le gambe mugugnare, dò loro qualche attimo di rifiato sostando. Poi la cima dà un esagerato sbalordimento di sensi. Monti che si perdono inseguendosi, creste viste d'infilata che si disperdono nell'orizzonte, colori dei monti bluastri che si smarriscono nelle foschie di luce, l'oceano bianco delle nebbie che s'espande lentissimo. Le nevi sulle cime preparano comodi giacigli per le prossime e future. Aspetto l'arrivo degli altri che disperdono i loro sguardi negli immensi spazi, ricercando cime da poter nomare, accostandole a ricordi passati. Ridiscendo involandomi lungo il ghiaione con chiasso di cristalleria, muovendo le schegge di roccia. Poi ripresa la mulattiera cammino tra zone d'ombra dove i pendii sono casa di spogli scuri salici e larici liberatisi delle foglie d'ago, accompagnati da un'intrigante lieve brezza di tramontana. Là invece dove il sole insiste rimangono le erbe tinte ancora di verde restie a colorarsi di bruno. Infine scendo mescolando colori e fotogrammi in un rapido susseguirsi.