tramonto

lunedì 19 luglio 2010

TRE PIETRE PIZZOCCO (2^ Parte)


Quando mi fermo sui sassi del Veses per consumare un magro spuntino (una pastina ed un succo) sono circa le nove, quindi ci ho messo poco più di tre ore ed un quarto per salire e scendere il Tre Pietre. Riprendo fiato e riparto avvolto nel verde intenso dei boschi di fondovalle. Risalgo lungo il sentiero alll'interno dell'ombrosa Val Scura, per poi rientrare verso la chiesetta di San Felice. Pur non presentando difficoltà è un tratto lungo, e camminando tra alte erbe mi porta dei " commensali" poco graditi; una decina di zecche!! Fermata al Pradel per sfrattarle con giro d'unghia. D'ora in avanti si fa sul serio, gran respiro, concentrazione...si riparte. Guardo in alto, il fitto bosco mi nasconde l'itinerario. ma lo conosco e so che ci sarà sa sudare. Questo tratto, monotono, che risale il pendio fino ai pressi di casera Ere è tosto, lascia pochi tratti per rifiatare, sale, sale erto, decisamente faticoso. M i fa compagnia il respiro affannoso, un fischio di un camoscio, voci di escursionisti,che il vento porta giù lungo la valle,paion vicine...sono lontane. La stanchezza comincia a farsi sentire, mi stramaledico perchè ho mangiato troppo poco, ho sete. Catturo le forze mentalmente, lo so è il momento di tirar fuori queste di energie. Proseguo oltre casera Ere e riprendo vigore camminando verso il Piz, anche la vista ora si allarga, su in alto mette in mostra il Pizzocco. Il fondovalle inesorabilmente si allontana, scandisco lentamente il passo. Intanto le nebbie iniziano ad avvolgere i pendii. Incontro parecchi escursionisti mentre ridiscendono. Poi più in alto gli spazi si allargano, penddii prativi si sostituiscono alle macchie boschive. Nella fatica mi estraneo da ciò che mi circonda, mi concentro solo sulla salita. Il poco allenamento mi presenta il conto. Ora il percorso nella parte finale è su facili roccette. Mi fermo sovente. Non è da me. mi sento sfinito. Riprendo, risalgo, arranco, ritrovo energia, sudo, sbuffo, maledico i monti, le valli, mi siedo, guardo oltre con lo sguardo vago nel nulla, stringo i denti, scatto d'orgoglio, deciso, riprendo vigore, scavalco le ultime roccette, la croce...sono in cima al Pizzocco. Mi trattengo a chiacchierare con gli ultimi escursionisti che tardano a scendere. Poi rinvigorito scendo giù verso valle, con buona andatura. Nel primo pomeriggio sono a Roncoi, mi volgo indietro, le nuvole tengono prigioniere le cime...anche questa è fatta!

domenica 18 luglio 2010

TRE PIETRE PIZZOCCO (1^ parte)



Le ultime nevi ormai si sono sciolte ed io mi appresto a partire per questo doppio uppen down che va a concatenare di seguito due monti delle Alpi Feltrine, il tre Pietre ed il Pizzocco. Complessivamente il dislivello supererà i 6000 metri. Non proprio una passeggiata. Ma tant'è visto che sono queste le personali sfide in montagna. Lasciata l'auto a Marianne, salgo lungo l'erto nastro d'asfalto che porta alle ultime case, recentemente restaurate lasciando le caratteristiche originarie; nella luce lattiginosa della luna merli si esibiscono in esaltanti melodie, il ruscelletto che scende rumoroso fa da accompagnamento. Un gatto fila via veloce. Poco più in alto, lasciata la valle di Agabito, mi inoltro nella penombra del fitto della vegetazione. Il bosco, di questi tempi, lasciato all'abbandono diventa presenza ingombrante. Salgo cercando di trovare il ritmo giusto, fondamentale in questo tipo di avventura. Con la compagnia dei pensieri che si affacciano nella mente, esco a Prà Montagna. Un piccolo alpeggio di quota intermedia, oggi rovinato inopinabilmente dalla costruzione di una strada forestale. Oltre salendo, cammino sui declivi erbosi che scendono dal Palmar. Il sole che sorge ad oriente va a radere con i raggi il crinale e sbattere contro le rocce nella valle opposta, incendiandole di luce purpurea. L'erba che s'indora esalta le gocce di rugiada in mille luci di diamante. Ritmando il passo supero un piccolo gruppo di escursionisti che ascoltano i richiami sonori, nel silenzio d'intorno, dei forcelli. Continuo ad avanzare fino a giungere ai crinali del Cimone, dove c'è l'apoteosi della luce mattutina. Ampi spazi mi si avvinghiano all vista. Nel fondovalle dense nebbie si mettono in moto risalendo lentamente i canaloni. D'intorno si esaltano i colori primaverili. M'incuneo nel canalone che si fa sempre più erto, cercando la linea di salita più semplice. Proseguo finchè esco in cima al Cimone. Panorami a perdita d'occhio. Scendo il vallone opposto per risalire poi fra mughete roccette creste sino alla aerea cima del Tre Pietre. Sotto i miei piedi si spalanca unvorticoso amplesso di orridi, di baratri frastagliati, di cime aguzze, un'esaltazione dell'estetica dolomitica. La Valle di Canzoi impreziosita dal turchese del lago sembra risucchiata negli abissi. Lontano a settentrione si indovinano le Pale di San Martino, del Civetta , i Lagorai. Mi riposo un po' rapito dall'estetica del luogo; di fronte ad oriente la mia prossima meta oltre la valle profonda, incisa. Le nebbie intanto risalgono verso l'alto incuneandosi nelle vallecole, ora più dense, ora evanescenti. Scendo rapido ed in breve mi trovo presso la croce del Palmar. Poi velocemente calo nel folto della vegetazione fra conifere o intricati boschi cedui, fino ad uscire nel paesello di Campel Alto. Da qui al bianco letto del corso del Veses in Val Scura.

sabato 17 luglio 2010

VAL FOSSERLA


Ci sono delle valli pressochè sconosciute, pochissimo frequentate, che nella loro "riservatezza" offrono dei piccoli scrigni di assoluta bellezza. Val Fosserla è una valle laterale alla più nota Val Canzoi del Parco delle Dolomiti Bellunesi. Passando in auto lo sguardo appena la sfiora, causato anche dalla vegetazione che la cela. E' una valle ruvida, dai versanti scoscesi, rocciosi, accidentati, difficile da percorrere, dove per orientarsi l'istinto è la capacità madre per superare le diverse e mutevoli complessità naturali. Eppure questo luogo che ora è un'esaltazione alla wilderness è stato sfruttata dal lavoro umano. Percorrendo il reticolo di sentieri, che col tempo tendono a scomparire si rilevano numerose tracce. Nellaparte bassa varie casere dove venivano portati piccoli nuclei di bovini, in ristretti pascoli, nati talvolta perchè sottratti al bosco dai carbonai. Il bosco veniva tagliato per produrre il carbone, fonte di economia di sussistenza; facile scoprire nei declivi le aie dove si svolgeva il lavoro. Ed ancora le calchere, fucine all'aperto dove si produceva la calcina, usufruendo di sassi calcarei. Poi in alto dove i pascoli diventavano più difficoltosi da raggiungere ed operare si avventuravano i pastori con ovini e capre. Più su fra le rocce ed i canaloni più impervi si avventuravano i cacciatori alla ricerca di camosci o di altri ungulati. Tutto ciò oggi è solo memoria che scompare. Ma avventurarsi all'interno dà il senso di come bisogna percepire la montagna, scoprirne il genius loci, amarne inevitabilmente le peculiarità. Piccoli siti che per arrivarci ci vuole fatica, capacità di leggere il terreno su cui si avanza, ma che raggiuntili si aprono nella loro straordinaria bellezza. La Costa dei Tei, i Colesei,Piavon, le cime Fiesole sono dei tesori ormai catturati dallo sguardo di mufloni e camosci, oggi i veri proprietari del luogo.

martedì 13 luglio 2010

PIZ DI SAGRON (m. 2485)


Per tutti: vette, quali le Torri del Vajolet, le stesse Tre Cime di Lavaredo od il Civetta, il Cervino (tanto per citarne alcune) ,sono un'espressione di bellezza indiscutibile. Poi ognuno ha la sua montagna del cuore. Per i più disparati motivi. Perchè è stata la prima ascesa, perchè ha una ragione sentimentale, perchè rappresenta un momento particolare della vita... La mia è il Piz di Sagron. Di per sè, anche se bella esteticamente, è una montagna tra le tante, poco conosciuta. A dir il vero non è proprio insignificante in quanto con la sua altezza di 2485 m. è la seconda fra le Alpi Feltrine. Storicamente ha il privilegio di dare l'avvio alla storia alpinistica in questa catena del lembo meridionale delle dolomiti, con la scalata del 16 giugno 1877 da parte di Cesare Tomè con Tommaso Da Col e la "guida" (ma in realtà cacciatore, bracconiere,contrabbandiere) del luogo Mariano Bernardin. Dalle sue pendici nasce il torrente Caorame, immissario poi del fiume Piave. La casa dove sono nato è sopra una forra che il corso d'acqua s'è scavato, ed esso è stato il mio compagno (non umano) per eccellenza della mia infanzia. Facile quindi era volerne cercare le origini. Le scoprirò verso i diciassette anni quando con amici andai a trascorrere la Pasqua al bivacco Feltre-Walter Bodo, lì vicino al monte. Una mattina proposi di salire alla ricerca della sorgente. Avevo gli scarponi ancora pregni d'acqua della salita e calzai un paio di stivali di gomma, quelli verdi che negli anni settanta si portavano spesso per i lavori nei campi, per l'andare nei boschi a funghi...che mi ero portato di riserva. Salii con l'amico Gabriele Vanin ed un certo Tessaro che faceva parte di un'altra compagnia. Calcando la neve ancora alta ci trovammo sotto il possente monolite dalla forma abbastanza squadrata. Non so cosa ci prese. Probabilmente l'incoscienza dell'età, la voglia di sfida, l'esuberanza. Iniziammo a salire il Piz. Da allora sono passati tanti anni, la memoria latita, percorremmo logicamente la via normale, ma c'era la neve sulle cenge e talvolta alta, nelle parti più in ombra c'era ghiaccio e di quello duro, sotto i nostri piedi si aprivano abissi, baratri anche se mitigati di tanto in tanto da nebbie che si muovevano velocemente. Si continuava a salire nemmeno sapendo dove andare. Dentro di me saliva una frenesia, un'energia irrefrenabile. Arrivammo in cima, ce ne rendemmo conto perchè oltre non si poteva andare. Le nubi intanto s'erano accoccolate sulla vetta e "da tutto lo sguardo esclusero". Non ci restò che ridiscendere, io avevo chiuso il cerchio con il mio monte ed il mio torrente, io ero loro e loro erano me. Penso, non a torto, di essere il primo ad aver realizzato una prima invernale di alpinismo con gli stivali di gomma!

LA FRENESIA DELL'ANDARE


Mi è sempre piaciuto camminare e credo di avere una naturale predisposizione nell'affrontare la montagna, sia fisico che istintivo. Se un tempo ciò che inseguivo era raggiungere una cima poi col tempo è stato di percorrere lunghe distanze. La vetta, una forcella, un colle, un passo è fine a se stesso, ma oltre c'è un' altra vetta, un'altra forcella, anzì un'infinità di queste "possibili" mete. Salire una catena montuosa e vederne un'altra, davanti, al di là della valle, ha fatto si di procedere oltre. Di raggiungere la successiva e magari un' altra, poi voltarmi e capire che le distanze sono effimere; ciò che prima era distante è vicino, altro nel mezzo è superato. Questo è diventato il mio modo di peregrinare in montagna, fatica e frenesia; così riesco a sentirmi tutt'uno con l'essenza della montagna. L'aver percorso l'Alta Via "delle Dolomiti in tre giorni per complessive 42 ore od il Trekking delle Leggende, lungo circa 200 km. con dislivello complessivo di circa 30.000m. in 4 giorni, in meno di 56 ore, o l'Alta via deli Eroi da Feltre a cima Grappa in 14 ore per andata e ritorno ne sono un esempio. Oppure nel concatenamento dei sentieri, un uppen down sulle vette feltrine di oltre 7000 m in poco più di 10 ore, o nel salire più monti in sequenza, ho trovato il feeling intimo con la montagna.

domenica 11 luglio 2010

MITI CADUTI...MITI INNALZATI


Cesen, Barbaria, Mariech, Col Posanova, Forconetta, Endimione...così nella mia infanzia mandavo a memoria i nomi di questi monti delle Prealpi come si era soliti fare con la nazionale (Zoff, Burgnich,Facchetti...). Endimione, forse per assonanza agli dei greci lo favoleggiavo quale la divinità del luogo e gli altri l'insieme del suo olimpo. Inoltre da bambino osservavo rapito, dalla finestra di casa, un grande prato adagiato placidamente sul lungo costone orientale del Tomatico (sopra Feltre). Per me equivaleva alle grandi praterie del far west, ad uno spazio infinito. Fantasticavo che ci volessero giornate intere per poter salire lassù (avventure alla Jhon Waine). Poi quindicenne vissi la mia prima esperienza di montagna, salendo ai Piani Eterni nelle Alpi Feltrine. L'arrivo a ridosso di quell'angolo di paradiso mi lasciò l'incanto negli occhi, una sensazione incredibile di bellezza. Da allora molti miti sono caduti. Endimione e decaduto dall'illusione della divinita all'insieme dei declivi erbosi che scendono verso l'alta vallata trevigiana. Sul grande prato (Prà Franzoia) ci salirò molti anni dopo, senza grandi emozioni a piedi in un'oretta, quando a causa dell'abbandono, ormai si era ingloriosamente ridotto ad un ristretto pascolo, relitto...a futura memoria.I Piani Eterni invece si rinnovano incantevoli ad ogni stagione.

sabato 10 luglio 2010

SKY TREKKING



Skytrekking è camminare sul filo delle creste, seguire esili tracce, "librarsi" su esposte cenge,inerpicarsi su ripidi crinali,superare ardite forcelle... E' sognare la linea arancio dell'alba che sorge, sentire il sudore che scende lungo le gote, ascoltare il respiro affannoso nei ripidi sentieri che non ammettono soste, farsi risucchiare nelle rapide discese, allungare il passo nei pianori inaltitudine, essere sopinti dal vento, camminare faticosamente quando le fole ti sbattono contro o gelate ti fanno perdere il respiro. E' affondare nel manto soffice nevoso, sentire il picchettio della pioggia, bagnarsi sotto un acquazzone estivo, lasciarsi trasportare musicalmente al fruscio delle fronde, rincorrere le foglie che cadono, percepire lo scricchiolio di quelle calpestare, il rumore vitreo dei ghiaioni scesi. E' guardare le nuvole che attraversano il cielo...cielo blu intenso, grigio, rosso, giallo, perdersi nelle fitte nebbie che portano ansia, ritrovarsi sulle cime dei monti baciati dalla luce intensa del sole, scrutare panorami infiniti, piccoli diademi celati fra le possenti pareti. Seguire il volo regale di un'aquila, l'inerpicarsi del camosci in ambiti rupestri, il ciguettio frenetico delle cince nel fitto bosco, il gorgoglio di un ruscello, il colore dei fiori. Perdersi nell'oblio quando inesorabile il tramonto scende.

BON VIAZ


Bon viàz nella parlata dolomitica è un segno di augurio che sta per buon viaggio. Il termine viàz indica un passaggio impervio ed ardito in montagna, tracce di passaggio generalmente di camosci e cacciatori. Gli anglosassoni definiscono il muoversi in questi ambienti con il termine di scrimbling, dove escursionismo ed alpinismo si confondono.