tramonto

sabato 20 luglio 2019

LA MONEGHETA

Si esalta quando leziose nuvole si acquietano nella valle retrostante a marcare il territorio e oscurare le crode retrostanti.
 E' una guglia  che le temperie del tempo profondo hanno lasciata solitaria tra le creste della scarpata di Lamen, architettandone lontane fattezze umane.
"L'é la Monegheta"....nata da una leggenda.
Narrasi che agli albori del cinquecento orde di lanzichenecchi al soldo del Massimiliano d' Asburgo scendessero le lande italiche lasciando dietro loro distruzioni e rovine mettendo a ferro e fuoco città e villaggi.
Suor Lucrezia del convento di Santa Chiara,la cui famiglia teneva dei possedimenti sulle arcigne vette, suggerì di ripararvisi lassù fino a che non fosse passata la paura. Ma la madre abadessa si oppose confidando nei buoni uffizi della santa a cui si erano votate e ne fosse corsa in loro difesa.
Suor Lucrezia timorata più dalla tremebonda accozzaglia di soldati che del buon Dio, nottetempo s'inoltro non senza fatica lungo le rupestri erte.
Giunta in cima si voltò e ai suoi occhi si parò la  vista di fumo e fiamme che si alzavano dall'Urbe. Sconvolta da tanta visione si prostrò in ginocchio, levò le mani al cielo e si tramutò in statua di  pietra ad imperitura memoria. Fu il castigo di Dio.
Salirne oggi le ardite balze nella torrida calura agostana, dove nullo albero ti ripara dal solleone è un modo per avvicinarsi al mito per espiare le proprie colpe.

venerdì 18 gennaio 2019

BUS DE LA PALAZA

Bianca, le cui primavere, non le consentono erti declivi, manda me in odor di pensione, ad infrattarmi tra contorti mughi ed antichi passaggi.
Galeotta fu una mappa del Grandis del 1713 ed un comunicato dell' eccellentissimo conte Lodovico Flangini provveditore sopra la Sanità della Serenissima Repubblica che così recitava..."devosi barricare il foro della Palla di San Eustachio su la montagna de la Palazza formando come un cassone in altezza di sei piedi empiendolo di pietre in forma tale che si renda quel luoco intransitabile a chi si sia."
Venezia, Stato da Mar,di pestilenze nel corso dei secoli ne aveva sopportate financo troppe ed ora che verso l'orizzonte tedesco se ne paventava un' ennesima, senza troppe indulgenze, ne apprestava le contromisure. Velocemente precettati all'uopo, armigeri del colmello di Soranzen, che fa a guardia della Valle di Canzoi, tosti si recarono muniti di schioppo, fra sbuffi ed improperi a tappare il "restello" in modo da non dar adito a chicchessia viandante di varcare la linea. Con facoltà di respingere coloro che tentassero di forzare il blocco anche "cum mala gratia".
 Sono trascorsi 300 anni e mi trovo al Ponte Umin, in una giornata di tardo autunno a volgere lo sguardo verso la stretta valle di Fosserla, che ingarbugliati cespugli tentano di celarla.
Su da qualche parte tra scoscesi pendii e rocce fratturate vi è la meta.
Risalgo la valle in fitto bosco da cui emergono rovine di majolere ed altri segni lasciati dall'uomo, fino a casera Pédena, ultimo avamposto a me noto, colonne d 'Ercole. Oltre è varcar l'ignoto.
 E l' ignoto è fatto di balze rocciose, di canaloni precipiti , di frane col tempo ricopertesi di vegetazione, di fitte macchie, di labili tracce di passaggio, di crinali erbosi, di vie precluse, di passaggi obbligati. Lasciarsi guidare più dall'intuito e dall'istinto che dalla ragione. Su in cima scoprire resti di un insediamento di pastori e sul filo di cresta di precipiti dirupi trovarsi sul luogo del desiderio. Eccolo finalmente il passaggio, un foro nella roccia che sa di opera d'arte. Che diventa cornice per i monti retrostanti, che s'indora dei raggi del mattino. Lieve il vento s'infila e va a far tremolare i rami. Al di là mughi s'insediano a guardia. Il tempo è sospeso.
 Poi il sole fa capolino e diventa la perla d'un gioiello.