tramonto

mercoledì 15 settembre 2010

LAMPI DI LUCE


Ciò accade quando l'aria è tersa e nel cielo scorrono veloci le nuvole. Negli spazi di blu s'infiltrano i raggi del sole. Nascono così dei giochi di luci ed ombre che esaltano le peculiarità dei particolari che generalmente non si notano. Così si evidenziano le caratteristiche come quando nelle scene teatrali si accendono i fari dei riflettori. Cose insignificanti diventano star per un attimo, il tempo che la luce le esalta. In tal modo rientranze delle rocce, forme di alberi, angolazioni di pendii, creste di cime si magnificano in una loro "personalità".

giovedì 9 settembre 2010

CIMONEGA


Sereno. Su in alto,alle prime luci dell'alba si indovina un blu intenso. Nessuna nuvola si aggira in cielo. Il lago di Val di Canzoi è increspato da una leggera brezza ed i monti che si riflettono sembrano ballare. Intanto le cime si incendiano dei primi raggi di sole. Camminando rincorro il levare del sole che si cela dietro le fronde fitte della vegetazione. Abbandonata la strada che porta al Frassen, risalgo il ripido sentiero che corre a fianco del Caorame che in questa stretta valle scende in un continuo susseguirsi di cascate, di marmitte e di scivoli dall'acqua limpida,azzurra. In un percorso che conosco molto bene, mi fisso dei punti intermedi come mete per accellerare mentalmente la salita. La luce del sole inesorabile scende lungo i pendii mettendo in risalto le peculiarita delle rocce e dei crinali. Di tanto in tanto scruto il cielo, così azzurro sembra un mare rovesciato. Arrivo in casera Cimonega, dove si svela l'apoteosi di questo angolo di dolomiti staccatosi in ere geologiche antichissime dalle pale di San Martino e naufragate sulle scogliere delle Vette. Il chiaro delle rocce si esalta nel blu del cielo. Il Sass de Mura, il Piz de Mez, il Piz di Sagron, il Sasso dell Undici, il Sasso Largo, il Comedon si susseguono nell'anfiteatro come in un galà di stars. Il mio passo regolare, ma lesto mi porta rapidamente su ai rossi bivacchi del Cai (Feltre e W. Bodo). Da lassù lo sguardo scende alla verde conca di cimonega dove sembrano calamitate tutte le bianche strisce dei rivi d'acqua che si radunano prima di gettarsi d'un balzo nella valle. Salutati i pochi avventori m'incammino verso il cuore del luogo risalendo fra rocce montonate, magri e verdissimi declivi, ora risalendo roccette o friabili ghiaioni. Ho voglia di raggiungere le creste in alto, di spaziare con lo sguardo oltre. Seguo lo scarno sentiero che porta all'attacco della via normale al Piz di Sagron. Salgo alla cima del Vomere, la cui parete meridionale scende diritta nel sottostante circo, anzi tutto d'intorno sprofonda come un abisso. A settentrione la vista vola su verso le pale di San Martino, giù verso la valle verde del Mis. Paesi che spuntano qua e là come macchie bianche. Intanto le nuvole cominciano maligne a vagare, poi a stazionare sulle cime, poi a nasconderle. Potrei salire in cima al piz. Ma data l'irregolarità delle nubi opto per un giro alla base fra ghiaioni, piccole piante di fiori pionieri e distese di massi sparsi in un caos che sembra una composizione di arte contemporanea. Qui è il regno dei camosci, sbucano all'impovviso da dietro le creste, poi corrono veloci via verso le cenge. Mi spingo fin dietro il Piz de Mez a guardare le rocciose scarpate che scendono verso la val Giasenozza in una nuda e severa ambientazione. I crolli di rocce a lato del Piz di Sagron evocano scenari da epopee di film western. Da quassù si gode un bel colpo d'occhio verso la conca del pian della Regina , che vado a "ritrovare" scendendo assorto nel silenzio del luogo. Poi una lunga corsa mi riportera giù in valle.

sabato 4 settembre 2010

SASSO SCARNIA (2227 m.)


Parto che la luce del sole ha già inondato i monti. E' una giornata serena. I colori si distinguono netti l'uno con l'altro. M'incammino lungo la strada sterrata che mi porterà in fondo alla valle di Vignui lasciandomi alle spalle l'isolata chiesetta di San Martino, piccolo capolavoro di arte religiosa popolare sorta probabilmente su una antica torre di osservazione dell'antica via romana, quella presunta via Claudia Augusta che univa Altino sull'Adriatico ad Asburgo in Germania. Cammino dopo un periodo di stop duvuto ad un malanno fisico e devo trovarne un ritmo adeguato. Mi piacerebbe salire in cima al Sasso Scarnia, l'ultima cima della lunga cresta delle vette feltrine che volge ad oriente. Da qui sprofonderà di netto in una chiara piramide rocciosa verso la val di Neva. Sarà una lunga sfacchinata di circa milleottocento metri positivi... un azzardo per chi è fermo da un po' di tempo. Su in alto le cime esplodono di luce, i pendii in ombra aspettano impazienti che il sole scenda ad "ubriacarli". Alla calchera prendo il sentiero che nel folto della vegetazione mi porta ripidamente ai pascoli di Ramezza Alta, da tempo abbandonati, ma che conservano il loro fascino bucolico. La fatica che si manifesta durante la salita mi induce a cambiare itinerario: potrei salire alla selvaggia Forcelletta, oppure accontentarmi di Forcella Scarnia e poi perchè no fermarmi qui un po' alla casera a godermi le pareti rupestri del San Mauro o del Ramezza così ricche di varietà di paesaggi, di rocce miste a declivi erbosi, a boschi a guglie a faglie...ed invece complice il bel tempo, una cima mai raggiunta, il non voler arrendermi mi induce a proseguire. Incedo su prati ancora pregni di umori notturni, poi nel sole che s'insinua nelle fronde del bosco, quindi fra le mughete che caratterizzano questa parte di monte. Più in alto rocce frastagliate, lasciano spazio a fantasie , s'indovinano bastioni, rocche torri di fantastici manieri. Picoli stillicidi d'acqua danno un tocco di magia. Risalgo sul sentiero che ora si è collegato a quello dell'alta via 2 che collega il bivacco Boz al dal Piaz, su un curioso tracciato serpentino che segue le rientranze delle rocce. Intanto volgo in alto lo sguardo alla ricerca del luogo più agevole per risalire verso la cima. Volgo il passo su un pendio erboso e cammino diretto, con parecchie pause, fin a lato di roccette finchè fra mughi esco sulla cresta dove mi si parano alla vista ampi panorami verso altri gruppi dolomitici. Cammino sul filo di cresta. Verso il lato a settentrione si spalancano ripidissimi orridi, canaloni che fra creste frastagliate e ghiaioni filano veloci ai sottostanti penddi boscati. Mi sento risucchiato ed istintivamente mi ritraggo. Poi salgo sull'aerea cresta quasi "respirando" il cielo ed in breve mi affaccio alla vetta. Intanto veloci e scomposte nubi e nebbie risalgono da valle, oscurando la vista. Poi come sono arrivate spariscono, ma altre rimontano. Mi trattengo a guardare lontani orizzonti. Ridiscendo lungo la via di salita. Ripreso il sentiero vado alla ricerca di quello che cala alla Giazzera di Ramezza. Qui un tempo salivano i cavatori di ghiaccio ed entravano in un grande antro su cui di accumulava la neve. Tagliavano blocchi di ghiaccio che trasportavano giù con slitte per il profondo canalone fino a valle dove li caricavano su dei carri che andavano a rifornire la birreria di Pedavena. Fatiche immani per guadagnare un tozzo di pane e l'oblio non ha lasciato che un misero segno di passaggio a futura memoria. Ritorno a valle anch'io stanchissimo.