tramonto

sabato 4 settembre 2010

SASSO SCARNIA (2227 m.)


Parto che la luce del sole ha già inondato i monti. E' una giornata serena. I colori si distinguono netti l'uno con l'altro. M'incammino lungo la strada sterrata che mi porterà in fondo alla valle di Vignui lasciandomi alle spalle l'isolata chiesetta di San Martino, piccolo capolavoro di arte religiosa popolare sorta probabilmente su una antica torre di osservazione dell'antica via romana, quella presunta via Claudia Augusta che univa Altino sull'Adriatico ad Asburgo in Germania. Cammino dopo un periodo di stop duvuto ad un malanno fisico e devo trovarne un ritmo adeguato. Mi piacerebbe salire in cima al Sasso Scarnia, l'ultima cima della lunga cresta delle vette feltrine che volge ad oriente. Da qui sprofonderà di netto in una chiara piramide rocciosa verso la val di Neva. Sarà una lunga sfacchinata di circa milleottocento metri positivi... un azzardo per chi è fermo da un po' di tempo. Su in alto le cime esplodono di luce, i pendii in ombra aspettano impazienti che il sole scenda ad "ubriacarli". Alla calchera prendo il sentiero che nel folto della vegetazione mi porta ripidamente ai pascoli di Ramezza Alta, da tempo abbandonati, ma che conservano il loro fascino bucolico. La fatica che si manifesta durante la salita mi induce a cambiare itinerario: potrei salire alla selvaggia Forcelletta, oppure accontentarmi di Forcella Scarnia e poi perchè no fermarmi qui un po' alla casera a godermi le pareti rupestri del San Mauro o del Ramezza così ricche di varietà di paesaggi, di rocce miste a declivi erbosi, a boschi a guglie a faglie...ed invece complice il bel tempo, una cima mai raggiunta, il non voler arrendermi mi induce a proseguire. Incedo su prati ancora pregni di umori notturni, poi nel sole che s'insinua nelle fronde del bosco, quindi fra le mughete che caratterizzano questa parte di monte. Più in alto rocce frastagliate, lasciano spazio a fantasie , s'indovinano bastioni, rocche torri di fantastici manieri. Picoli stillicidi d'acqua danno un tocco di magia. Risalgo sul sentiero che ora si è collegato a quello dell'alta via 2 che collega il bivacco Boz al dal Piaz, su un curioso tracciato serpentino che segue le rientranze delle rocce. Intanto volgo in alto lo sguardo alla ricerca del luogo più agevole per risalire verso la cima. Volgo il passo su un pendio erboso e cammino diretto, con parecchie pause, fin a lato di roccette finchè fra mughi esco sulla cresta dove mi si parano alla vista ampi panorami verso altri gruppi dolomitici. Cammino sul filo di cresta. Verso il lato a settentrione si spalancano ripidissimi orridi, canaloni che fra creste frastagliate e ghiaioni filano veloci ai sottostanti penddi boscati. Mi sento risucchiato ed istintivamente mi ritraggo. Poi salgo sull'aerea cresta quasi "respirando" il cielo ed in breve mi affaccio alla vetta. Intanto veloci e scomposte nubi e nebbie risalgono da valle, oscurando la vista. Poi come sono arrivate spariscono, ma altre rimontano. Mi trattengo a guardare lontani orizzonti. Ridiscendo lungo la via di salita. Ripreso il sentiero vado alla ricerca di quello che cala alla Giazzera di Ramezza. Qui un tempo salivano i cavatori di ghiaccio ed entravano in un grande antro su cui di accumulava la neve. Tagliavano blocchi di ghiaccio che trasportavano giù con slitte per il profondo canalone fino a valle dove li caricavano su dei carri che andavano a rifornire la birreria di Pedavena. Fatiche immani per guadagnare un tozzo di pane e l'oblio non ha lasciato che un misero segno di passaggio a futura memoria. Ritorno a valle anch'io stanchissimo.

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