tramonto

domenica 2 febbraio 2014

MONTE MIESNA

Me ne vado verso la meta in una domenica di fine gennaio esuberante di tepori primaverili arrivati troppo presto. Nei microclimi dove il sole deborda ed il vento si zittisce, già il tarassaco pittura di giallo i prati. La luce viene catturata e rilasciata esaltandola dove si posa. Così i fiocchi di viburno diventano batuffoli luccicanti di bambagia, le foglie d'edera traslucide, i piccoli rami si liberano di scintillii. L'acqua diventa specchio. I noccioli si decorano di peduncoli dorati pronti al primo soffio a vaporizzarsi in polvere di polline. Nel meriggio il sole scompare presto dietro il Tomatico, con i raggi che diventano fasci di luce nebulosa e la temperatura declina subitaneamente. M'incuneo nella strozzatura della Chiusa , qui dove il sole inutilmente d'inverno cerca una via e lascia carta bianca alle brine ed alle galaverne di affrescare fantastici paesaggi naif. Passo a lato della casa cinquecentesca che fu guardiana del soprastante santuario. Da qui partiva fino agli anni settanta la teleferica che ne riforniva di vettovaglie. Oggi invece sta correndo verso l' usura del tempo con vetri rotti e balconi sformati ed i grovigli di piante a lato sulla piccola altura oscurano i resti di una torre longobarda. Così va in Italia quando troppe sono le memorie, meglio...dimenticarle! Risalgo il monte là dove il fiume fa un'ansa a marcare la topografia del luogo. Intanto la linea d'ombra fissa il profilo del monte proiettandola sui pendii opposti. Si fa subito ripido il sentiero, da acido lattico; i declivi sono coperti da sassi e ghiaie di frana dove un fitto ceduo li colonizza. C'è un netto contrasto tra i silenzi del monte ed i rumori della strada di fondovalle col continuo passaggio d'auto. Poco più in su, una casera, sapientemente edificata oltre la linea d'ombra a godersi per più tempo i calori invernali. Due manufatti adiacenti, uno tenuto in vita da un provvidenziale restauro, l'altro trasformato in rovine saldate da tralci d'edera. Muretti a secco e castagni monumentali che stanno ad indicare il passaggio del tempo. Vado alla ricerca di un vecchio sentiero. Cerco nei files della memoria delle indicazioni. Ne trovo delle tracce, ma rovi, prugnoli e biancospini cercano d'impedirmi l'accesso digrignando le...spine .Poi anche i pochi segni s'eclissano tra passaggi caotici d'ungulati. Risalgo direttamente lungo un ruvido costone, dove il proseguire m'induce ad adoperare mani e piedi. Balze, piante rugose, rami spezzati erbe, affioramenti, muschi, passaggi sul filo del vuoto sono gli ingredienti del luogo. Poi in uno slargo di radura ricompare il sentiero. Lo riconosco e lo seguo a ritroso. Poi si perde ancora finchè il monte non restituisce resti di confine d'antichi possessi, in una depressione diventata camposanto di alte piante cadute a causa di copiose nevicate. In cima ad un'altura un'altana, ultima moderna frontiera. Più in là una strada silvo- pastorale, inno alla modernità. Basta salire all'alpe a piedi su ripido sentiero, oggi si va su comodo automezzo...!! Continuo verso l'alto, un po' per sterrato, un po' per antica via. Bucaneve puntinano il sottobosco con bianchi boccioli. Casere ristrutturate, terreno lavorato con bosco tenuto a distanza, vecchi carpini consunti dal tempo rimandano ad un tempo agreste quando la maggioranza degli abitanti del sottostante paese, quassù viveva nei mesi caldi affaccendati nel governo di pochi armenti, nello sfalcio, nel taglio di legna. Oggi aleggia un'aura di nostalgia. M'avvio e salgo alla cima, anch'essa aggredita da bassa macchia, nel mentre che il sole si cela dietro un fumaiolo di vapori che ristagnano in Lùsena. Sto qualche attimo a ricercare i prati che ormai non ci sono più ma che la memoria richiama nitidamente. Il vento soffia forte. Ridiscendo lungo una vecchia mulattiera abbandonata, un tempo parecchio trafficata , ora si riconosce il tracciato più per quello che ci sta attorno, l'arborea di viale, qualche resto di manufatto, con la vegetazione spontanea che recupera i propri spazi. Più in giù tagli di bosco che lasciano ambienti che sembrano mutilazioni da guerra 15-18, ed i sentieri che diventano discariche di ramaglie. Un susseguirsi di abbandono e  interventi predatori. I reticoli di sentieri sostituiti da conurbazioni di trattorabili che si spingono ovunque. A casera Cai il tripudio all'arroganza becera, specchio dei nostri tempi che ha chiuso con la millenaria cultura contadina. La mulattiera con gli anni s'è fatta sterrato poi nastro d'asfalto. La virgiliana radura, diventata bosco ed ora spolpata della parte nobile e discarica della parte non economicamente sostenibile a marcire. La casera, fatiscente cumulo di macerie, attorniata da tre vecchi monumentali alberi, cui la stessa la motosega ha avuto pietà, sembrano recitare il rosario in una camera ardente.
Largo al progresso!!! Si è scesi dal monte, s'è lasciato solo nell'abbandono e nell'oblio per anni, ora lo si risale a depredarlo con l'arroganza dell'insulto.