tramonto

mercoledì 26 ottobre 2011

BUS DEL CAORON


Ormai in valle, madre natura sta liberando le sue energie nella sublime arte della pittura, ingentilendola di colori giallo e rossi intinti nelle terrre brune e rilasciati in mille sfumature diverse. Il lago dalle acque ferme, salvia, è scarabocchiato da una scia scura di terra e foglie sospinta lenta dai fluidi. Una pioggerellina fina d'autunno si posa sul volto come delicati spilli. Immmergersi nel bosco che rammenta la pioggia nel pineto fa materializzare fra i vapori e l'intrico, il vate e la diva che si rimandano versi. Poi come un eco si disperdono erranti e leggeri, silenzioso battito d'ala. Immagini reali si sostituiscono a pensieri immaginifici. Poi d'improvviso retorico "urlo sotto il maestrale". Un rumore sordo che si fa via via più possente. L'onda biancheggiante rimbomba nel fitto. Scorre svelta dopo essere stata vomitata dalle viscere d'un antro terribile e dopo breve vita si getta nel lago a placare la propria irruenza. Intanto i colori, le rocce, le nebbie, il cielo, si amalgamo e si frantumano esaltandosi e negandosi effimeri e mutevoli.

martedì 25 ottobre 2011

LA BORALA


Fitti boschi, erbe incolte, ghiaioni, rocce grige, faglie, fratture profonde, mughete, cenge aeree, intagli, balze rupestri, pendii scoscesi, cieli blu, nuvole che passano e vanno, verdi zerbi, fruscio del vento, silenzi ovattati, lievi brume stantie. Luoghi che ti respingono e ti attraggono come un magnete. Ambienti selvaggi, severi, rudi, inospitali. Tutto sembra fermo, tutto si muove! Siamo nella wilderness dei Monti del Sole. Il sole sta esplodendo a levante sparpagliando le poche nubi che lo celano e riempie le cime di tinte rosso brune. Nella valle le ombre nere svivolano come onda. Il lago del Mis assorbe e rimanda tutto l'attorno come una lieve melodia pittorica. Risalgo l'asfalto, oltrepassando il paese di Gena, muto borgo che parla di non lontano fervore di umile lavoro contadino. Poi sono boschi fitti, silenzi rotti solo da lievi brezze.Il proseguire è su ardimentoso sentiero. Ancora le ombre riempiono la valle. La vista si scontra con possenti torrioni rocciosi, invalicabili, imponenti. Camminando si superano cenge che rifuggono precipiti bancate, piccoli rigagnoli cantano scendendo nelle scalfitture vallive, le mughete diventano ingombranti ostacoli. Tutto affascina e angoscia in un ribaltamento emozionale continuo. Il tracciato ti porta inevitabilmente alla meta, lo segui ammaliato, quasi soggiogato. Quando arrivi alla Borala, che oltre non puoi andare resti zittito. Lo sguardo scorre verso l'alto lungo le possenti bastionate, le torri arcigne, le merlate cime d'un imponente maniero roccioso. Sfidano il blu turchese le guglie. I magri declivi sembrano bere la luce del sole che filtra tra le forcelle, dove un tempo si pensava passassero gli dei. Nel silenzio mistico i pensieri si fermano, solo gli occhi assorbono le parole del luogo. Diventa improbo staccarsi da qui, dove la natura emana religiosità. Nel fitto della faggeta c'e il giallo del bivacco Valdo che vado a raggiungere. Con un'altro escursionista, arrivato nel frattempo, cerchiamo il sentiero che dovrebbe, a detta delle cartine, portare a forcella Zana; ma non v'è traccia. Ridiscendiamo. Poi io scenderò lasciandomi trasportare dalla corsa che all'interno del bosco, dove minori sono i pericoli, diventerà una fanciullesca volata.

venerdì 7 ottobre 2011

ALTA VIA DELLE LEGGENDE


Correva l'anno 1982 e noi correvamo, chi in bicicletta, chi in motorino, alle feste paesane. In un'afosa serata estiva probabilmente intorno a ferragosto a Pez ci trovammo a discutere di escursioni in montagna, non tanto lontani dalla spina della birra. Qualcuno, che sostava da parecchio in quel luogo propose di avventurarci in un qualche trekking di più giorni; ovviamente la scelta cadde sull'alta via 2 delle dolomiti, tratta Brixen-Feltre. Poi quando il livello di guardia della birra aveva superato certi confini, i fumi dell'alcol generarono la disgraziata idea di compiere un'impresa, stabilirne il record di tempo. Si favoleggiava che uno sconosciuto escursionista tempo addietro avesse percorso quei quasi 200 km in quattro giorni e mezzo. Rammento che una lampadina mi si accese immediatamente. L'anno prima l'avevo fatta con l'amico Silvano in cinque giorni e mezzo senza tanto faticare, quindi fatto due conti personalmente l'impresa era fattibile. Il crocchio di persone intanto s'era fatto numeroso e i pretendenti erano diventati tanti. Svanite poi l'indomani le esalazioni da alcooltest, di "atleti" ne rimasero ben pochi. Partimmo in auto di mercoledi in quattro. Di sicuro facemmo la miglior prestazione automobilistica da Feltre a Bressanone, in quanto credo il pilota non scese mai sotto i centoventi, nemmeno nei centri abitati (allora i punti alla patente erano di là da venire). La nutrita spedizione alla fine si ridusse a me ed al mitico Bastianel (al secolo Walter De Bastiani). Da allora sono passati quasi trent'anni ed i ricordi sono diventati ovviamente nebulosi, ma qualche episodio è rimasto indelebilmente impresso nella memoria. Ricordo l'uscita dal rifugio Plose, là dove muovemmo i primi passi con lo sguardo rivolto alle Odle, prima barriera da superare, in una giornata serena. Lungo la pista di sci ci portammo al paese sottostante cercando un albergo dove si doveva apporre un timbro sul libretto di guida. Segnale inequicovocabile per poter aspirare alla spilletta che ci avrebbe onorato di entrare negli eletti, al pari della conchiglia di chi percorre il cammino di Santiago. Il gestore del locale, alla nostra richiesta, ci trattò in malo modo nell'idioma sudtirolese negando il timbro...non era possibile! Rischiavamo che una simile banalità ci inficiasse l'impresa. Facemmo leva sulla forza di italici invasori alzando il tono di voce e mettendo così in allarme gli avventori, per raggiungere lo scopo. La salita verso il rifugio Genova la feci con esuberante dispendio di energie. Al Puez ci fermammo per un pranzo ristoratore, un abbondante piatto di spaghetti che lo stomaco scombussolato dal cammino si premurò di lasciare in loco poco discosto. Oltrepassammo quindi il Passo Gardena e ci involammo sulle bastionate della scarpata oceanica dell'isola Sella. Su lungo la val Setus, il terrazzamento dove c'è il Cavazza, su più in alto fino a sfociare nell'altopiano sommitale. Qui trovai una senzazione unica di cielo. Chiusi gli occhi, mi abbandonai a respirare spazi immensi nel silenzio, allargai le braccia girando più volte su me stesso. Era come abbandonarsi e naufragare dolcemente nel mare di Leopardi. Sentii più volte l'eco del mio nome volare in quel tempo sospeso, era Walter che mi chiamava non vedendomi dietro di lui. Pernottammo al Rifugio Boè, mangiammo...chissà se mangiai quella sera, dormimmo...forse un po'. L'indomani alle prime luci dell'alba eravamo già in cammino. In un batter di ciglia scendemmo il ghiaione verso il Pordoi, ed in breve ci trovammo a specchiarci nel lago del Fedaia. Gli scarponi mi avevano distrutto i piedi, non trovai di meglio che togliermeli e di percorrere il tratto fin oltre malga Ciapela scalzo. Poi la salita verso il Forcarossa divenne un'agonia. Eravamo a metà del cammino e le forze erano già al lumicino. Sono convinto chè là dove si scollina verso i declivi verdi del San Pellegrino ho capito ciò che fa la differenza in queste improbe imprese. Si va avanti esclusivamente con la forza della determinazione. Ed è questo che quel giorno mi ha consentito di arrivare alla seconda tappa...Mulaz! Il terzo giorno sarà un vagare sulle Pale in lungo ed in largo. Guglie, bastioni rocciosi, gole profonde altipiani silenti, salite e discese, infinite come quella che dal passo delle Lede ci porta a fondovalle passando Per il Minazio e poi il Cereda ed ancora su verso gli infidi ghiaini dell'Intaiada. I rimbrotti lontani di tuono, le nuvole minacciose sempre più cupe che si avvicinano. Lampi, vento intenso, tuoni sempre più marcati. Varchiamo la porta del Bivacco Feltre in Cimonega che si scatena il diluvio universale. Quindici minuti da fine del mondo. Poi una calma apparente da quiete dopo la tempesta di pascoliana memoria. Si riparte, data la luce del giorno che non sta ancora voltando nelle ombre del crepuscolo. Meta un caldo minestrone al Boz. Ai Caserin ci sorprende uno strano vento. Intanto il velo della notte comincia a stendersi. Un colpo di tuono secco, lampi che illuminano a giorno l'andare. Ricomincia a gocciolare, poi si scatena l'inferno. Le ultime energie ci fanno volare giù verso la salvezza in Neva. Spalanchiamo la porta, ci avventiamo in un angolo libero della stanza, ci togliamo lo zaino, gli indumenti fradici, facendo a terra un lago. Alzo gli occhi e vedo occhi sbarrati verso di noi, increduli, silenziosi. Sono quelli del gestore Scudelin e di Daniele, allora giovane ragazzo alle prime esperienze di vita in rifugio...dopo trent'anni sarà ancora là, lui a mandare ...avanti la baracca. Chissà forse mi sono seduto sulla sedia del larin e mi sono addormentato all'istante, chissà non ricordo. Levato il giorno appresso si riparte. Ormai ci rimane l'ultimo sforzo nel salire la rampa dello Scarnion e poi un lungo saliscendi per superare le varie buse glaciali: del Gevero, di Ramezza, di Pietena, delle Vette, e poi giù a Feltre verso la storia. La spilletta triangolino rosso col numero 2 da appuntare orgogliosamente alla camicia quadrettata di flanella. E Walter a riscuotere la scommessa vinta (una birra!!) di arrivare al negozio di attrezzatura sportiva da Oscarsport prima della chiusura. Quando ancora i negozi abbassavano la serranda a mezzogiorno del sabato.

TRAIL IN VAL CANZOI


Nelle interviste Mauro Corona è solito dire che se si sveglia e si sente scrittore prende carta e penna, se la giornata lo invoglia a scolpire opera da scultore, così io oggi mi sento trailer e faccio trail. Detto fatto. La mente e lo sguardo già stanno correndo in automatico in Alta val Canzoi. Piani Eterni, Forcella Omo, Val Slavinaz, Cimonega, mi passano come veloci fotogrammi. Quindi alle gambe non resta che seguirli. D'altronde ci sono tutti gli ingredienti, rapida salita su sterrato nel folto del bosco, che mi porta all'incanto del paesaggio di Erera Brendol, sentiero nei larghi silenzi verso Forcella dell'Omo, spaziando su ampi panorami, impavida traversata sulle cenge del Comedon sul filo di strapiombi e discesa a rottadicollo verso il rientro lungo le balze del Caorame!! E' già giorno quando parto. Le giornate piovose dell'estate sono già vago ricordo, sostituite da incantevoli ore blu. Le acque del lago placide si muovono sornione con lievi increspature. Aleggia una sensazione di quiete da fine estate. Cerco camminando di captare il giusto ritmo, che trovatolo mi consentirà di salire senza eccessivo sforzo. Lungo i canaloni cominciano a farsi sentire le prime avvisaglie dell'autunno che verrà trasportate dalle sensazioni prodotte dalle fole di vento. Supero degli escursionisti che risalgono lentamente godendosi il bosco. Sul sentiero del Porzil incassato libera il sole tre metri...sopra il cielo, lasciando in ombra la parte bassadegli abeti ed illuminando in un solarium le cime, che sembrano impadronirsi del cielo azzurro. Alla forcella mi fermo un attimo; non si può far a meno di contemplare questa specie di eden che ci riservano i Piani Eterni... ogni volta è un insostituibile "schiaffo" di armonia ai sensi. Scendo nei silenzi della conca dove risuonano gli echi dei campanacci, da poco ridiscesi a valle. Le erbe verdeggianti cominciano a brunirsi etichettando l'avanzare della stagione. Oltrepasso casera Brendol e risalgo il declivio retrostante fino ad incrociare il sentiero che s'inerpica lungo la valle che porta a settentrione. I prati d'alta quota danno spazio a rari alberi. I pendii si fanno erti, rimandano ad altri paesaggi alpini. Il rosso delle rocce danno un tocco di cromaticità. La conformazione litica del monte Brandol sembra una gigantesca onda che in burrasca s'infrange contro gli scogli. Passando tra candelabri di fiori bianchi incontro un escursionista proprio nel momento in cui un branco di camosci, annusata l'aria, fugge celere verso un ghiaione soprastante, altri scompaiono oltre le creste, altri risalgono le erte chine. Alla Forcella dell'omo mi si para davanti la fiera parete del Comedon. Scorrro con la vista verso le Pale di San martino, dove le nuvole si stanno attrezzando a celarne le cime, poi alle rupestri balze dove andrò a cercarne l'esile passaggio. Una sequenza di magri declivi e di strapiomanti paretine si gettano nel baratro sottostante. Vado ad ubricarmi nell'emozione dei passaggi in cengia dove par d'essere un'aquila a volo radente che sfiora i pendii e scompare oltre il limitare del costone. Camminare tra cielo e terra passando come gittata di vento. La sensazione d'essere animale che vaga...libero. Il sentiero esile, talvolta "sgarruppato" dalle slavine invernali, diventa traccia si libra in passaggi aerei, il vuoto talvolta toglie il fiato, il procedere diventa adrenalina. L'arrivo al belvedere, ardito aggetto erboso ti spara in volto le dolomitiche pareti di Cimonega e sottostante la valle col diadema del lago dai colori verde e blu che si confondono. Inizia per me (oggi trailer) la lunga invitante discesa, dapprima su sentiero su cui corro lieve fino a casera Cimonega, poi la discesa si fa più tecnica. M'involo tra i guizzi dei tornanti, danzo lungo gli stretti zig zag, salto i tratti sassosi, precedo le scivolate, scompaio nel folto del bosco. Escursionisti che incrocio per un attimo, il rumore dell'acqua che fa da colonna sonora, la voce del respiro. Poi la fine della corsa. Un anello fatto in quattro ore.