tramonto

venerdì 15 luglio 2011

ALTA VIA DEL GRANITO (1^ parte)


Men vo' che è ancora notte fonda. Sfilo via veloce fra le rotatorie infiorate del centro cittadino illuminate dalle "lampare". Un gatto attraversa la strada come un razzo rigorosamente sulle strisce pedonali. Incrocio qualche auto che sta ritornando a casa forse da una notte brava. M'imbuco, poi, nell'oscurità nella valle della Senaiga da cui compaiono dalle tristi brume del fondovalle le solitarie case di Chioè, su strada d'asfalto che sa d'antan, di buche e di curve strozzate. Poi si varca in Trentino s'allargano le corsie, s'allarga la valle, il paese di Roe dorme placidamente, allegro. La strada cammina alta, a destra s'indovina la valle che sprofonda, s'inabissa oltre la vista verso le viscere della terra. A Castel Tesino un semaforo rosso t'induce a fermarti, sembra dirti di non disturbare l'ultimo sonno dei dormienti. I lavori stradali rimandano verso vicoli stretti nel cuore del vecchio centro montano. In un incrocio indugio nel proseguire, compare come da copione un' auto (posto giusto al momento giusto), il manovratore mi toglie dai dubbi e son libero da proseguire spedito fino all'agognata malga sorgazza da dove "calzato" lo zaino varchèrò nel mondo silente dei Lagorai.Mi fermo un attimo sulla strada dove m'informo su un paletto segnaletico, m'indica senza tante parole la via. Guardo nella direzione da prendere, chiudo gli occhi, m'inebrio in un respiro profondo...parto, si va, ce ne sarà da..."pedalare". Un gallo canta, manco fosse un tifoso che m'incita.Una lieve luminosità fa da preludio al nuovo giorno. Prima di infilarmi nel bosco scorro in alto con lo sguardo verso il cielo; piccole stelle brillano insieme a nubi scure minacciose. La vista corre verso la massa scura del Cima d'Asta, una formazione mefistofelica la tiene segregata. Il sentiero è curato da poco, falciate le erbacce e tagliati i rami bassi degli alberi, cammino d'istinto nella flebile luce che sale. Proseguendo m'accorgo che è una massicciata ben disposta probabilmente un'opera militare. Ne trova conferma più in alto quando chiari manufatti escono dalla vegetazione, paletti di cemento fanno da paracarri e postazioni artificiali si svelano con didascalie. Vengono chiamate finestre e puntano lo sguardo truce verso i costoni orientali da dove una luce aranciata rivela l'aurora. Sobbalzo ad un improvviso verso che riempie l'ombra. Un rumore scende verso il bosco, poi abbai ripetuti di un capriolo, gli faccio eco, riprende con ulteriori abbai sgraziati. Il suo fare è insofferente, nemmeno l'avessi svegliato nella fase rem. Intanto esco dalla vegetazione e s'allargano ampi spazi. Il colore più intenso lontano ad est indovina dove si leverà il sole, il cielo s'incendia di rosso. La luce s'infrange nella bruma e ne rimanda un velo soffuso. Sembra di trovarsi in un quadro da trompe l'oil. Leggere nuvole rosate vagano fra le cime di Costa Brunella baciate da primi raggi. Intanto in alto la bianca diga si para come una forma d'arte contemporanea. Ci arrivo con il sole in fronte. Mi soffermo a guardare in basso il lago artificiale in cui si specchiano i monti sovrastanti. Le acque ancora scure aspettano pazienti che il sole si tuffi. D'intorno l'esplosione delle fioriture di rododendri, i massi granitici, il verde dei pendii, in una simbiosi naturale t'incantano come in un mirabile giardino. poi le rocce squadrate, le gulie le cime che sembrano lavorate da una mannaia, i grossi blocchi, le mille pietre rimandano a scene cinematografiche apocalittiche. In uno degli infiniti laghetti lo sfregare dei raggi appare come lo sfavillio d ipulviscolo dorato sparso dagli elfi prima di svanire nel nuovo giorno. Un sibilo lacera i silenzi d'alta quota. Una marmotta ritta zulle zampe averte dell'intruso. Di tanto in tanto con la coda dell'occhio vado alla Cima d'Asta. La mefistofelica persiste, poi come d'incanto mollerà l'ormeggio. Arrivo col giorno fatto a Forcella Quarazza. Al di là un'altra valle. Sa di silenzi, di spazi estesi. C'è una magia sospesa, rassicurante, lenta. Proseguo alto sulla valle. Mi giro ed in controluce la corona svela immagine fatate di manieri in rovina. Abitazione in castelli magici che rimandano e intrappolano la mente a fiabe incantate. La luce che filtra evapora, il sole s'incunea in una fessura e ne sboccia come un diadema. Poi un'altro passaggio in quota: il forzelon di Rava. Dal basso salgono belati. In alto una ridda di creste che sforano il cielo. Sto attento alla via giusta, un reticolo di sentieri ti porta all'errore. A meridione la scarpata asiaghese si perde nella velatura delle nebbie. Respiro la solitudine del luogo. Giù, sotto rocce poderose, dorme placido nelle ombre un lago. Si riflettono nel blu le rocce e si muovono nella brezza come in un tremolio. C'è una spiaggia di casta sabbia. Nessun bagnante ha il coraggio di sdraiarsi qui. Il tempo ha perso il suo valore; mi ritrovo alla forcella Ravetta. Una croce monca,
storta, consunta dal tempo rimanda a lutti lontani nel tempo. Intanto a settentrione fa mostra di sè la lunga catena dei Lagorai, dalle rocce brune e dai dolci pendii verdeggianti. Calo lungo la discesa ghiaiata verso il rifugio Caldenave, supero una lingua di neve, poi scorro in un bosco di larici, a lato di un torrentello che via via si fa più bandalzoso fino a gettarsi nella piana verde e proseguire in un sussurro lungo un meandro. Cavalli pascolano nell'aria riflessa dai raggi. Trovo una fotocamera smarrita da un improvvido escursionista. Mi fermo al rifugio per un caffe ristoratore.

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